domenica 20 marzo 2016

Avanti tutta, anzi indietro

Non sono a casa.
Mi manca la finestra dalla quale vedo il giardino che tanto amava mio padre. Dopo decenni di vetri rovinati e opachi che impedivano una visuale limpida, al mattino presto mi incanto ad ammirare questa natura rigogliosa ogni giorno diversa, misteriosa e affascinante. E poi ci sono le mie orchidee e il censimento quotidiano di fiori e boccioli, nonché l'ispezione metodica ad ogni foglia e rametto.
Per quanto anche il panorama fuori da questa finestra sia bellissimo (i tetti di Firenze: il sole, le finestrelle, i comignoli, una meraviglia) questa non è la mia finestra e non riesco a concentrarmi come dovrei.
È curioso come siamo rigidamente legati alle nuove nostre abitudini: spesso ci accorgiamo delle cose che ci riguardano solo quando siamo costretti a modificare la nostra prospettiva.
Sono qui per un motivo molto importante: il mondo della farmacia sta cambiando e un sacco di persone che contano ci diranno dove siamo e dove dobbiamo andare. A dire il vero, sono già tre o quattro anni che ci promettono delle ricette vincenti, ma sono sicura che questa volta sarà la volta buona. Me lo sento: sono arrivati un sacco di ministri della repubblica, senatori, persone illustri.
Ora devo vincere il profondo senso di inadeguatezza che mi  prende sempre in questa circostanze: guardo i mei colleghi, li sento parlare e, se devo essere proprio sincera, capisco pochissimo di quello che dicono. Non mi intendo di economia né di finanza: amministro la mia azienda guidata da un intuito misterioso che mi viene da non si sa dove. Per fortuna, c'è una docente della Bocconi che in modo semplice e chiaro traduce in formule matematiche quello che in qualche modo avevo colto da sola. Per qualche strana ragione sembra piacere solo a me, ma preferisco non indagare oltre. Parla un linguaggio che capisco e condivido quello che dice: questo per il momento mi basta.
Altri mi spiegano che va tutto bene, i cambiamenti sono positivi, sono occasioni per crescere, per evolversi, per mettersi al passo con i tempi. Il farmacista rimane un pilastro della società civile, svolge una professione utile, anzi indispensabile: non mi è ancora completamente chiaro a che cosa serva veramente, che cosa debba o possa fare in pratica, ma sono profondamente confortata dal fatto che  siano tutti d'accordo sul fatto che non se ne possa fare a meno. Ultimamente, a dire il vero, mi erano venuti seri dubbi di avere ancora una funzione essenziale: purtroppo ho anch'io i miei momenti di sconforto, ci sono giorni in cui mi chiedo che cosa debbo fare e se ha un senso ostinarsi a cercare di impegnarsi ad esercitare questa professione.
Ma tant'è: va tutto benissimo, la società conta su di noi, dobbiamo cambiare, non mi è ben chiaro in che modo, ma cosa ci vorrà mai, il mondo si aspetta da noi grandi cose e noi non lo deluderemo.
Le note stridenti sono poche, ma subdole, inquietanti, significative: il dato emerso da un'inchiesta secondo il quale la metà di noi, se potesse tornare indietro, non studierebbe più farmacia; una lezione su come vendere di più e meglio.
Sono i silenzi ad essere veramente assordanti: mi aspetto che mi offrano nuovi strumenti per lavorare, mi promettano riforme di un sistema obsoleto e superato, mi rivendichino un ruolo più ampio, difendano e proteggano i nostri giovani laureati da contratti umilianti e offensivi.
Niente.
Nessuno sembra ritenere queste cose importanti.
Mi si sta insinuando un piccolo sospetto: questo nuovo farmacista, così al passo coi tempi, così evoluto, mi sembra molto simile, non dico uguale uguale, a quello vecchio. Mi sembra forse un po' più spaventato, un po' più rassegnato, ma forse mi sbaglio, non intendendomi di alta finanza forse non capisco bene. Lo sento parlare di sconti, percentuali, investimenti, forse è un po' meno sicuro, lo sento un po' più titubante sulle cifre, ma cose da poco, nulla di veramente preoccupante.
I farmaci niente, non interessano più a nessuno, tanto si sa che non rendono più nulla.
La farmacia del futuro sarà un centro servizi avanzatissimo: check-up completo, dai piedi ai capelli, professionisti di tutti i generi a profusione, ma farmacisti pochi, anzi pochissimi, costano, e poi si intendono solo di farmaci, se non sono anche bravi a vendere cosmetici integratori e dispositivi medici a cosa servono?





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domenica 13 marzo 2016

Ma io chi sono?

Mi hanno fatto notare che il mio profilo su questo blog è desolatamente spoglio. Che potrei dire qualcosa di più su di me. Che molti (?!?) vorrebbero conoscermi meglio.
Panico.
Che cosa dovrei dire?
E, soprattutto, domanda mille volte più angosciante, io chi sono?
Che cosa ho fatto fino adesso che potrebbe interessare a chicchessia?
E, domanda delle domande, il valore di un pensiero cambia se chi lo esprime è un premio Nobel, una persona famosa o la classica casalinga di Voghera? Se posso vantare un'ampia scelta di certificazioni  universitarie o nascondo una cultura raffazzonata e superficiale? Se nel tempo libero mi dedico all'uncinetto e al piccolo punto o alla nobile arte dell'ikebana e alla meditazione trascendentale?
Non dovrebbero essere gli altri a riconoscere in me le qualità che mi appartengono senza che io mi debba celare dietro titoli importanti quanto spesso inconsistenti?
Questione interessante che può avere risvolti molto vasti e insospettati.
Un cliente, due giorni fa, mi ha chiesto se è proprio obbligatorio che i farmacisti indossino il camice bianco. Certo, naturalmente. E devono mettere una spilla particolare, il caduceo, che ne attesti l'iscrizione all'ordine. Chi entra in farmacia deve capire subito chi è farmacista e chi no, perché i farmaci debbono essere dispensati esclusivamente da un farmacista.
Tutto giusto.
Però ho una curiosità: sono sufficienti camice bianco e caduceo a rivelare il farmacista? Non si dovrebbe capire subito, alle prime parole, chi lo è e chi no? Detto in altro modo: se un farmacista, per uno di quegli accidenti banali che costellano le migliori giornata, si trovasse dietro il banco privato dei suoi segni distintivi verrebbe riconosciuto sempre e comunque come tale? E quando risponde al telefono, l'interlocutore si rende sempre conto con chi sta parlando? E su internet? E sul vituperato Facebook, palestra di tante risse, discussioni, confronti?
Da sempre ho con il caduceo una serie di conti in sospeso, probabilmente a causa del fatto che spesso e volentieri finisce in lavatrice con il camice. È tutto rattoppato, tenuto insieme più sulla fiducia  che dalla sostanza, reduce glorioso della lotta quotidiana contro la fretta e gli incidenti di percorso.
E del camice, vogliamo parlarne?Appena laureata lo detestavo, mi sembrava una camicia di forza che mi impediva persino di pensare. Poi un'amica mi rivelò un grande segreto: al mattino non serve perdere tempo a vestirsi in modo ricercato, puoi metterti anche una tuta da ginnastica, infili il camice, lo chiudi e sei subito perfetta. Mi sembrò una cosa meravigliosa: giovane mamma, sempre  con i secondi contati, perennemente in affanno tra mille pressanti incombenze, era la soluzione ideale per sveltire i tempi ipercritici del mattino. Ci rinconciliammo , e da allora viviamo insieme felici e contenti.
Ricordo mia madre: sempre perfetta, il camice immacolato, lasciava intravedere il filo di perle, discreto, in armonia con gli orecchini, piccoli e preziosi. Una vera signora d'altri tempi, dall'aspetto curato e autorevole, mai un capello fuori posto, mai un dettaglio sopra le righe.
Mi guardava, sconsolata, cambiare tre camici al giorno, le tasche sformate piene di tutto quello che non avevo ancora perso in giro per la farmacia, qualche macchia che neppure la candeggina più concentrata era riuscita ad eliminare, per non parlare di qualche buchetto: riuscirai mai a diventare una farmacista come si deve? Le persone ti guardano e capiscono subito che sei una scombinata.....non riuscirai mai ad essere una professionista credibile e a farti rispettare.
Penso che avesse ragione: anche se l'età mi ha costretto ad una maggiore attenzione per il mio aspetto fisico continuo ad avere un'aria stralunata e sciroccata, abiti comodi e scarpe sgraziate, capelli elettrici e sparati. Se poi sono diventata una professionista competente non lo so; posso solo dire che ci provo, ogni giorno, mi sforzo, mi impegno, come si diceva una volta, mi applico.
Ma nella  vita non bastano le dichiarazioni di intenti: il giudizio spetta agli altri; nolenti o volenti, è sempre ai posteri (e ai contemporanei) l'ardua sentenza.
Per la cronaca: sono l'orgogliosissima umana di sei gatti meravigliosi (modestia a parte, sono le più belle creature che si siano mai viste, e  anche le più simpatiche); ho  una passione malsana per i fiori e mi cimento nella coltivazione delle orchidee (a me Nero Wolfe mi fa un baffo!); faccio solo vacanze a piedi (con zaino a spalle, scarponi e tutto il resto) e sono visceralmente attratta (ma mi ci oppongo con tutte le mie forze perché mi fanno perdere troppo tempo) da rebus, cruciverba e parole crociate; in compenso, sono incuriosita da tutti i giochi in generale, ma, pur conoscendone i più intimi meccanismi, non riesco a farmi coinvolgere e  non ci so partecipare, nonostante il reiterato intervento dei miei figli. Odio il sudoku, il sushi e, se posso, evito la carne in genere (non per motivi ideologici: non mi piace proprio).
Non mi viene in mente altro: ho detto tutto di me, quello che conta, almeno.
Non so se ne uscirà un profilo rispettabile.





















Se sono simpatica o antipatica, garbata o arrogante, estroversa e spigliata o timida e impacciata? 

domenica 6 marzo 2016

Cemento? Solo di marca, of course

I lavori in farmacia vanno avanti.
Tra alti e bassi, speranze e delusioni, martelli pneumatici e nuvole di polvere, vanno avanti.
 Un giorno sembra che siamo in anticipo sul programma, il giorno dopo nasce un nuovo problema che rallenta tutto: come voglio le porte, a battente o scorrevoli? Linoleum o pittura lavabile idrorepellente  certificata HACCP? E il rubinetto: alto, basso, a collo di cigno, a pedale o a leva lunga?
Non so neppure il significato della maggior parte delle sigle o dei termini, figurarsi se sono in grado di prendere una decisione. Sento i vari esperti parlare fra loro, disquisire di attacchi, collegamenti, circuiti, cavi e tubazioni; provo a chiedere qualche spiegazione per farmi un'idea, tento qualche timida obiezione, più che altro di carattere economico, sto spendendo una follia di soldi che non ho, ma vengo sistematicamente investita da fiumi di parole di cui capisco pochissimo, con l'unica, inevitabile conclusione che mi devo fidare, che loro sanno quello che fanno, che va bene così e basta.
E sì che, molto probabilmente, ho più cognizioni di fisica di tutti loro messi assieme: mentre con aria svagata annuisco rapita, non mi sfuggono strafalcioni e incongruenze, spiegazioni sommarie, incomplete, fantasiose. Ciò non toglie che, non avendo  la più pallida idea di come si monti un lavandino o un condizionatore, a parte qualche generico invito a fare la scelta più economica possibile, non mi permetto di dire altro.
Poi, però, ci penso, a lungo, e, come al solito, mi faccio un sacco di domande: non ci sono esperienze nella vita che non offrano meravigliosi spunti di riflessione e non diano l'occasione, preziosa, di vedere le cose in modo nuovo.
Ma come , mi dico, io che posso vantare un bagaglio di conoscenze teoriche piuttosto vasto, peraltro suffragato da certificazioni universitarie, non mi permetto di discutere con un elettricista del suo lavoro, di cui, dal lato pratico non so nulla, mentre chiunque, con qualunque tipo e livello di competenze diverso, si reputa all'altezza, non solo di discettare di argomenti medici, ma di conoscere i farmaci meglio di me e di fare anche il mio lavoro meglio di me? Sicuramente mi sono persa qualche passaggio fondamentale.
Dal momento che come rompiscatole penso che non mi batta proprio nessuno, ho deciso di promuovere un'inchiesta: ho messo a punto un piano, ho elaborato una strategia e mi sono mossa.
Ho cominciato con uno dei  muratori: l'ho bloccato in un angolo e ho cominciato a tempestarlo di domande. Quando entra in una casa per spostare una parete, il proprietario dell'appartamento gli dice cosa deve fare? Gli contesta il tipo di mattoni o di materiale da usare? Gli verifica le misure in base a misteriose tabelle trovate su internet? Controlla la marca del cemento, nonché quella delle strutture di metallo?
 Mi ha guardata basito, incerto se fossi oltre che pazza anche pericolosa, ha concluso che probabilmente sono solo molto strana ma sostanzialmente innocua, e con aria stralunata mi ha risposto che lui obbedisce solo agli ordini dell'architetto o dell'ingegnere, che non deve rendere conto a nessuno del tipo di materiale che compra, deve essere solo conforme a quanto indicato dal responsabile del progetto, e poi che cosa vuole che ne sappia uno qualunque di cemento, impalcature o mattoni? Decidere queste cose è il suo mestiere, lui ne risponde in prima persona,  ci mancherebbe solo che si dovesse fare un congresso per il tipo di malta o di sabbia da usare. Siamo diventati tutti matti?
A questo punto ho calato il mio carico da novanta: "e quando va in farmacia sceglie i farmaci di marca o i generici (pardon, gli equivalenti)?"
Ormai, del tutto convinto della mia totale insanità mentale, mi ha risposto, stavolta con aria abbastanza seccata: "sta scherzando? Tutti marchi, ci mancherebbe, niente roba taroccata."
"Anche se il suo medico e il suo farmacista  di fiducia glieli consigliano? " (quando voglio essere perfida, ci riesco benissimo)
"Lo sanno tutti che ci vogliono avvelenare con dei  farmaci dove dentro non c'è niente, facendoci credere che invece sono buoni: non sono mica scemo, io, sa? La mia vicina di casa mi ha detto che la sorella di una sua amica è stata malissimo dopo aver preso uno di quei cosi, come li ha chiamati?, generici. Per la mia famiglia pretendo solo il meglio e controllo sempre tutto: ci mancherebbe."
Ormai è acclarato: sono proprio una brutta persona. In tutti i sensi.