domenica 20 novembre 2016

Martedì pomeriggio

È solo martedì pomeriggio e sono già esausta.
Se c'è una categoria di persone che invidio con tutta l'anima è quella di coloro che sono calmi, organizzati, metodici. Quelli, per intenderci, che fanno una cosa per volta, pensano una cosa per volta, progettano una cosa per volta. Come li invidio! Quelli che non urlano, non si agitano, non si arrabbiano, non scialacquano enormi quantità di energie emotive, non si tormentano fra dubbi e dilemmi assurdi, non si fanno domande a raffica senza trovare mai risposte soddisfacenti.
Io, dentro, ho un caos inenarrabile. Anche fuori, se é per questo.
È che ci sarebbero talmente tante cose da fare, da cambiare, da migliorare, da perfezionare. C'è un mondo, lá fuori, che ha bisogno di noi, ha bisogno di idee, soluzioni, proposte; forse neppure lo sa, ma gli serve un buon farmacista, eccome. E noi stiamo qui, a perdere tempo prezioso, a lamentarci e a rimpiangere un tempo lontano in cui ci ricordiamo ricchi e felici, e invece eravamo solo degli automi frustrati.
Ieri sera un mio amico, una delle mie spalle su cui piangere virtuali, mi ha strapazzato ben bene invitandomi 1) a darmi una calmata; 2) a decidere di che cosa non occuparmi; 3) ad affrontare un problema alla volta; 4) ad avere un po' di pietà per quelli che mi stanno vicino.
A parte il fatto che avrei voluto ridiscutere il concetto e la funzione di "spalla su cui piangere" (mi piacerebbe proprio che qualcuno, almeno di tanto in tanto, mi sommergesse di tutte quelle frasi stupide e consolatorie, da telefilm pomeridiano di serie B, tipo "poverina, non te la prendere, non é colpa tua, é il mondo che é cattivo, su su, vedrai che andrà tutto bene, alla fine i cattivi hanno sempre la peggio, noi siamo i buoni e, prima o poi, c'è la faremo, vedrai, stai tranquilla",  invece di rimprendermi subito con decisione), ne é scaturrita una discussione accesissima sul fatto che é molto faticoso  essermi amico anche da debita distanza.
Fantastico, proprio quello che mi ci voleva.
Così poi mi sono sentita anche in colpa perché rompo le scatole a lui e ad altri molto più spesso di quanto sarebbe auspicabile, cercando una  consolazione che poi non accetto, consigli che non seguo, finendo per tormentare chi magari ha già un sacco di problemi più grossi di suo e farebbe volentieri a meno di ascoltare una pazza isterica piena di contraddizioni e complicazioni inutili.
Nel frattempo analizzo mentalmente tutte quelle cose su cui devo intervenire nel più breve tempo possibile per ottimizzare il lavoro di tutte noi: abbiamo ancora troppi intoppi pratici che ci impediscono di operare al meglio delle nostre possibilità. Sono tutte cose stupide, che apparentemente sembrano essere superabili senza grosse difficoltà, ma che sospetto essere più ostiche di quello che sembrano.
Abbiamo assolutamente bisogno di osservare una procedura rigorosa per l'organizzazione del lavoro al banco: poche regole semplici ma ferree per fare in modo che ciascuno di noi possa parlare con il suo cliente in tranquillità, rispettando al massimo la privacy, sapendo che se la farmacia si dovesse riempire, interverranno prontamente le colleghe in aiuto.
Dobbiamo trovare un sistema che ci permetta di comunicare più facilmente fra noi: adesso é diventato veramente troppo complicato chiamarsi da una parte all'altra della farmacia. Ci vorrebbe qualcosa tipo un cercapersone, ma non ho ancora visto nulla di semplice pratico e discreto. Devo cercare con più cura l'oggetto più adatto per noi.
E la ricerca dei farmaci contingentati? E quelli in sospeso? L'idea di metterli nelle scatole é stata buona davvero, ma abbiamo ancora delle difficoltà con i tempi di consegna. Ripristiniamo il sistema dei messaggi telefonici per segnalarne l'effettiva presenza in farmacia? L'avevamo abbandonato perché un cliente non l'aveva gradito, ma forse ora é giunto il momento di riattivarlo....
Si fa presto a dire: fai buona buona il tuo lavoro, fai del tuo meglio e mettiti tranquilla.
E tutto il testo? Chi ci deve pensare? Che cosa significa fare del proprio meglio?
Hai voglia a non pensare. E poi non basta pensare. Bisogna anche fare: spiegare, eseguire, controllare, correggere, migliorare e perfezionare.
Mi sta riassalendo la voglia irrefrenabile di disperarmi: prima di mietere un'altra vittima innocente travolgendola con un mare di sterili lamentele, chiudo la giornata e spengo il telefono e il computer.
È meglio se ci pensiamo domani




domenica 13 novembre 2016

Martedì mattina

Il lunedì in qualche maniera è passato, il ritardo accumulato ormai è stratosferico e l'ansia sta raggiungendo vette insospettabili. Va bene, oggi è un altro giorno e sarà sicuramente facile, proficuo e meraviglioso. Almeno, lo spero e ci conto.
Adesso mi chiudo in laboratorio e ne esco solo nel caso in cui sia scoppiato un incendio e le fiamme abbiano invaso almeno la metà della farmacia. Lo giuro.
Entro di soppiatto, afferrò la cartella in cui riponiamo le ricette e cerco di eclissarmi nel modo più rapido possibile. Sembra facile.
E lo è, basta volerlo. Mi chiudo la porta e faccio finta di non sentire i "ti dobbiamo parlare"  che mi aleggiano alle spalle. Dopo, dopo, dopo. Dopo, quando? Nella prossima vita. E in questa? Alle 12:00 in punto concederò udienza a tutti. Neppure un minuto prima.
Comincio ad organizzare il lavoro, stilo la lista delle priorità cercando di controllare il panico e la prima delle mie collaboratrici è già davanti alla mia porta che mi fa cenni disperati. Perché ho voluto proprio mettere vetro trasparente alle porte?  Meglio morire di claustrofobia che questo continuo stillicidio.
I cenni diventano sempre più frenetici: di là mi sta aspettando la signora Gina, novantaquattro primavere, molto più lucida e in gamba di me, ha bisogno di parlarmi immediatamente, subito, adesso. Mi faccio spiegare che cosa è successo, ma nessuno sembra averlo capito con esattezza.
Vi prego, vi scongiuro, non se ne può occupare qualcun altra? Abbiate pietà, ma così non riesco a combinare niente. Peggio: corro il serissimo rischio di fare enormi pasticci.
Sono disperata e vicina alle lacrime.
Evidentemente devo essere stata estremamente convincente perché si attivano tutte per arginare il problema e mi regalano un'ora di quiete.
Finalmente riesco  a lavorare tranquilla e questo mi sembra un vero miracolo: ne approfitto al massimo e porto a termine almeno le cose più importanti.
Sono le 12:00 in punto e ancora tutto tace: sono quasi preoccupata. Che siano tutti morti senza neppure avvertirmi?
Mi avventuro fuori dal laboratorio un po' intimorita; apro la porta con cautela e sbircio all'interno.
La signora Gina è seduta vicino al mio computer; è sul sentiero di guerra e mi sta palesemente aspettando.
Mi faccio coraggio ed entro decisa.
Le hanno offerto una tisana, hanno provato a parlarci, ma niente, vuole me e non se ne andrà finché non sarà riuscita a vedermi.
Ora, bisogna sapere che questo scricciolo di donna, secca e dura come un vecchio ramo d'ulivo è una persona meravigliosa che ha trascorso tutta la vita accudendo i suoi familiari e facendo una vita quasi da reclusa: vive da sola, indipendente e orgogliosa, fragile e vulnerabile come solo certe persone apparentemente scontrose sanno essere. Con un nipote che abita lontano condivido una specie di affido congiunto: in caso di problemi io sono molto più facilmente raggiungibile di lui, e poi  la conosco da quando ero bambina, mi vuole un bene dell'anima e con tutte le preghiere che mi dedica ogni giorno posso vivere di rendita per il resto della vita.
L'unica difficoltà sta nel fatto che è permalosissima ed è capace di ombrosità tortuose quanto misteriose. Vediamo qual è il dramma di oggi.
Pare che sia scoppiata una guerra senza esclusione di colpi con un'altra signora per chi mette il mazzetto di fiori più vicino alla statua della Madonnina in fondo alla strada: ognuna delle due sposta il mazzetto dell'altra più lontano, ma noi, non avendo le chiavi della grata di protezione, subiamo la sorte peggiore e il nostro mazzetto, molto più bello dell'altro, finisce sempre relegato in un angolo.
È un bel problema, ma ho un lampo di genio. Mio padre aveva le chiavi della grata perché finché ha potuto farlo, teneva in ordine il capitello.  Chissà dove saranno andate a finire.
Ho nascosto il suo vecchio mazzo di chiavi in fondo ad un cassetto:  rivederlo mi mette una tristezza infinita. Le perdeva continuamente; mi rivengono in mente le migliaia di volte in cui le cercava disperato e mi viene un nodo alla gola.
Un piccolo miracolo, secondo me, me lo merito: al quinto tentativo l'odiata grata si apre. Sistemiamo i fiori nel punto migliore, puliamo tutto per bene, anche il cero è adesso al suo posto.
Ci vuole un abbraccio, stretto stretto, di quelli che ti scaldano il cuore.






domenica 6 novembre 2016

Lunedì, il pomeriggio

Mangio in piedi, di corsa, come quasi tutti i giorni. Quando c'era mio padre, oltre a chiedermi alla mattina presto che cosa volessi mangiare (come se io lo avessi saputo! Iniziavamo  tutte le mattine con una discussione su quanto fosse difficile accudirmi ed accontentarmi. Io rispondevo che mi andava bene tutto, basta che non mi chiedesse niente, perché alle otto del mattino non c'è assolutamente niente che mi faccia gola. Lui rispondeva che ero un essere impossibile: quanto mi mancano adesso quelle schermaglie), mi costringeva a pranzo a sedermi e a mangiare "da cristiani". Da quando non c'é più non ho più toccato un piatto di pasta né ho più pranzato seduta.
Ho almeno tre pagine di e-mail a cui rispondere, tutto quello che non ho fatto questa mattina incombe minaccioso e devo prepararmi ad affrontare le mie signore. Non so cosa  sia peggio:  l'idea di prendermi un anno sabbatico si fa sempre più allettante, ma mi viene anche da ridere.
Ecco, é questo che mi rovina: nei momenti meno opportuni, quando dovrei essere concentrata, saggia, equilibrata, quando dovrei dare il meglio di me, improvvisamente, mi sembra tutto così comico e non riesco a rimanere seria.. Mi metto a ridere da sola, come una scema.
Devo tentare di fare qualcosa di utile almeno prima dell'apertura pomeridiana.
Non facciamo in tempo a sollevare la saracinesca che sono già tutte qui, in formazione compatta, con l'aggiunta della figlia della vicina nella veste di aspirante assistente mediatore, in caso ne avessi bisogno.
La vivacità e l'energia di tutte loro mi rassicurano definitivamente sullo  stato di salute generale. Qualunque cosa sia successo non ha inficiato minimamente le loro forze, anzi, oserei quasi dire che mi sembrano in forma smagliante.
Bene, cerchiamo di capirci qualcosa. Le interrogo separatamente o insieme?
Non so perché mi pongo tanti problemi: hanno già fatto tutto loro, si sono sedute belle comode in cerchio e hanno dato il via ad una discussione animatissima di cui mi hanno eletto arbitro e giudice.
Il mio ego é alle stelle: mi sembra di essere ad una puntata di "Forum", versione live, e io mi sento a metà fra Zeus e una presentatrice di talk show: comincio a capire il delirio da onnipotenza,
Il clima si surriscalda sempre di più: adesso stiamo rivangando questioni che risalgono almeno a tre generazioni fa e a persone morte da almeno un secolo, con una fantasia di argomenti da far invidia alla più torbida soap opera. Ho tutti i muscoli del viso indolenziti dallo sforzo di rimanere seria e mantenere un'espressione severa e compassata, adeguata al ruolo.
La babele linguistica mi sta creando delle difficoltà di comprensione: non parlo (e non capisco molto bene) il dialetto, le badanti sono straniere, l'italiano é sempre più  sommario e creativo. Secondo me, sto anche diventando mezza sorda (o lo sono già completamente, come non mancano mai di sottolineare i miei figli), ma forse sono solo affetta da sordità selettiva: in realtà, mi sono estraniata a notare come, in fondo, le parole siano solo uno degli strumenti di comunicazione, e neanche uno dei più importanti. I loro corpi e i loro gesti raccontano una storia molto più complicata, fatta di tanta solitudine, condita di pregiudizi e paure, disseminata di gelosie, ripicche, dispetti, misconosciute richieste di affetto, bisogno spasmodico e contraddittorio di attenzione e ruvida gentilezza.
Improvvisamente si azzittiscono, mi guardano e mi costringono a ridiscendere  precipitosamente dall'empireo nel quale mi sono rifugiata.
"Carissime Signore, oggi ho fatto delle analisi molto approfondite sul bicchiere che mi avete portato e sul suo contenuto: mi sento di poter garantire che tutte le compresse che mancano sono ancora lì dentro e non é stato ingerito niente (siamo onesti: chi avrebbe mai avuto il coraggio di bere quella poltiglia immonda?) per cui escludo qualunque tentativo di suicidio e/o omicidio (senza una pistola carica alla tempia mi sembra alquanto improbabile costringere qualcuno a berla, per cui possiamo lasciare in pace Miss Marple). Sono sicura (ma dove le prendo certe affermazioni!) che la signora Bice, a casa da sola, abbia soltanto voluto vedere se le compresse si sciolgono nell'acqua, visto che fa abbastanza fatica a deglutire intere.  È stato un esperimento molto utile: adesso sappiamo che si sciolgono, per cui potrà decidere se preferisce prenderle così o intere. Anzi, vi ringrazio tutte perché questo può servire anche per altri miei clienti e sarò molto felice di diffondere l'informazione.
Nel frattempo, mi é venuta un'idea:perché una volta alle settimana non organizzate un pranzo tutte assieme? Giusto per passare qualche ora in compagnia con le amiche?"
Se gli sguardi potessero uccidere sarei già morta in un mare di sangue.
"Potremmo fare i tortellini..." "E le lasagne?" "Anche se non é Natale?"
Sia lodato il dio della cucina: per noi il cibo é come il tempo per gli inglesi, argomento buono per tutte le circostanze e per tutte le stagioni.
E adesso come lo recupero tutto il tempo che ho perduto? E le energie? Sono sfinita, euforica, deconcentrata, con l'ego ipertrofico che mi deborda anche dalle orecchie, la voglia di un anno sabbatico sempre più impellente.
Come diceva mio padre, qui ci vuole un ricco caffè