domenica 13 novembre 2016

Martedì mattina

Il lunedì in qualche maniera è passato, il ritardo accumulato ormai è stratosferico e l'ansia sta raggiungendo vette insospettabili. Va bene, oggi è un altro giorno e sarà sicuramente facile, proficuo e meraviglioso. Almeno, lo spero e ci conto.
Adesso mi chiudo in laboratorio e ne esco solo nel caso in cui sia scoppiato un incendio e le fiamme abbiano invaso almeno la metà della farmacia. Lo giuro.
Entro di soppiatto, afferrò la cartella in cui riponiamo le ricette e cerco di eclissarmi nel modo più rapido possibile. Sembra facile.
E lo è, basta volerlo. Mi chiudo la porta e faccio finta di non sentire i "ti dobbiamo parlare"  che mi aleggiano alle spalle. Dopo, dopo, dopo. Dopo, quando? Nella prossima vita. E in questa? Alle 12:00 in punto concederò udienza a tutti. Neppure un minuto prima.
Comincio ad organizzare il lavoro, stilo la lista delle priorità cercando di controllare il panico e la prima delle mie collaboratrici è già davanti alla mia porta che mi fa cenni disperati. Perché ho voluto proprio mettere vetro trasparente alle porte?  Meglio morire di claustrofobia che questo continuo stillicidio.
I cenni diventano sempre più frenetici: di là mi sta aspettando la signora Gina, novantaquattro primavere, molto più lucida e in gamba di me, ha bisogno di parlarmi immediatamente, subito, adesso. Mi faccio spiegare che cosa è successo, ma nessuno sembra averlo capito con esattezza.
Vi prego, vi scongiuro, non se ne può occupare qualcun altra? Abbiate pietà, ma così non riesco a combinare niente. Peggio: corro il serissimo rischio di fare enormi pasticci.
Sono disperata e vicina alle lacrime.
Evidentemente devo essere stata estremamente convincente perché si attivano tutte per arginare il problema e mi regalano un'ora di quiete.
Finalmente riesco  a lavorare tranquilla e questo mi sembra un vero miracolo: ne approfitto al massimo e porto a termine almeno le cose più importanti.
Sono le 12:00 in punto e ancora tutto tace: sono quasi preoccupata. Che siano tutti morti senza neppure avvertirmi?
Mi avventuro fuori dal laboratorio un po' intimorita; apro la porta con cautela e sbircio all'interno.
La signora Gina è seduta vicino al mio computer; è sul sentiero di guerra e mi sta palesemente aspettando.
Mi faccio coraggio ed entro decisa.
Le hanno offerto una tisana, hanno provato a parlarci, ma niente, vuole me e non se ne andrà finché non sarà riuscita a vedermi.
Ora, bisogna sapere che questo scricciolo di donna, secca e dura come un vecchio ramo d'ulivo è una persona meravigliosa che ha trascorso tutta la vita accudendo i suoi familiari e facendo una vita quasi da reclusa: vive da sola, indipendente e orgogliosa, fragile e vulnerabile come solo certe persone apparentemente scontrose sanno essere. Con un nipote che abita lontano condivido una specie di affido congiunto: in caso di problemi io sono molto più facilmente raggiungibile di lui, e poi  la conosco da quando ero bambina, mi vuole un bene dell'anima e con tutte le preghiere che mi dedica ogni giorno posso vivere di rendita per il resto della vita.
L'unica difficoltà sta nel fatto che è permalosissima ed è capace di ombrosità tortuose quanto misteriose. Vediamo qual è il dramma di oggi.
Pare che sia scoppiata una guerra senza esclusione di colpi con un'altra signora per chi mette il mazzetto di fiori più vicino alla statua della Madonnina in fondo alla strada: ognuna delle due sposta il mazzetto dell'altra più lontano, ma noi, non avendo le chiavi della grata di protezione, subiamo la sorte peggiore e il nostro mazzetto, molto più bello dell'altro, finisce sempre relegato in un angolo.
È un bel problema, ma ho un lampo di genio. Mio padre aveva le chiavi della grata perché finché ha potuto farlo, teneva in ordine il capitello.  Chissà dove saranno andate a finire.
Ho nascosto il suo vecchio mazzo di chiavi in fondo ad un cassetto:  rivederlo mi mette una tristezza infinita. Le perdeva continuamente; mi rivengono in mente le migliaia di volte in cui le cercava disperato e mi viene un nodo alla gola.
Un piccolo miracolo, secondo me, me lo merito: al quinto tentativo l'odiata grata si apre. Sistemiamo i fiori nel punto migliore, puliamo tutto per bene, anche il cero è adesso al suo posto.
Ci vuole un abbraccio, stretto stretto, di quelli che ti scaldano il cuore.






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