domenica 25 dicembre 2016

È passato un anno

È passato un anno da quando ho cominciato a scrivere questo blog, un anno nel quale questo é diventato l'appuntamento delle mie domeniche, il piacere e l'incubo con il quale terminano le mie settimane.
È nato un po' per scherzo e un po' perché sono sempre stata affascinata dalla parola scritta: tantissimi anni fa, da ragazzina, mio padre scoprì un piccolo raccontino che stavo tentando di scrivere. Doveva essere veramente terribile e ricordo ancora lo sconforto con il quale ne parló sottovoce a mia madre.
Non ho piu avuto il coraggio di prendere una penna in mano.
Mia madre non c'è più da molti anni e mio padre é mancato quasi tre anni fa.  Da qualche parte, dentro di me, si é riaffacciato quell'antico desiderio, quella spinta mai del tutto sopita verso la magia sottile della parola scritta: la facile accessibilità del web e i  social hanno fatto il resto.
Una delle discussioni più accese che faccio spesso  con i miei figli verte proprio sul potere della parola scritta: in particolare, mio figlio mi contesta di sopravvalutarla troppo. È vero,  sono di una generazione nata e cresciuta senza i computer, quando ai ragazzini gli insegnanti di italiano facevano raccogliere in un quadernetto le parole nuove o sconosciute per arricchire il proprio vocabolario o veniva considerato errore grave sbagliare il tempo del congiuntivo in relazione al grado di ipoteticitá  di un periodo; venivamo derisi o redarguiti se leggevamo romanzetti commerciali al posto dei classici della letteratura perché non era così che avremmo affinato il gusto e lo spirito critico.
È difficile spiegare cosa ti spinge a scrivere.
All'inizio volevo solo raccontare che cosa accade nel retro di una farmacia: avevo l'impressione che le persone, in genere, non si rendessero conto di quanto complesso e delicato e faticoso é il nostro lavoro, ma ci vedessero, piuttosto, come sciatte ed annoiate commesse con il callo del defustellatore di scatolette. Poi il gioco mi ha preso la mano ed é diventato l'occasione di chiarire anche a me stessa quel groviglio di sentimenti confusi che talvolta ti lascia incerta e smarrita e non sai se sei più stanca o soddisfatta o avvilita o felice.
Tuttavia, quando le parole emergono dal magma indistinto della mente e si snodano nitide sullo schermo, una dietro l'altra trovano il ritmo giusto che non sembravano avere nell'accavallamento dei pensieri, e le vedi lì, nero su bianco, raggiungi una specie di quiete, come se fossi riuscita a dare un ordine al cosmo e finalmente ogni cosa fosse andata al suo posto e avesse acquisito un senso compiuto.
All'inizio mi preoccupavo moltissimo se quello che raccontavo potesse piacere  o interessare: con fatica e dolore ho capito che ciascuno di noi é pieno di limiti e difetti, e il mio lavoro non fa certo eccezione.
Sicuramente non é un capolavoro e non supererà il giudizio implacabile del tempo, ma può regalare un minuto piacevole, uno spunto di riflessione, un attimo di comunione, un microscopico punto di contatto col mondo, un filo sottile e tenace che può offrire un sorriso a chi ne ha bisogno

domenica 18 dicembre 2016

Giovedì mattina

Tanto per cambiare sono in ritardo.
Il rito mattutino della vignetta ad amici, colleghi e clienti diventa ogni giorno più impegnativo. È un bel momento, che almeno io vivo con molto piacere, così come mi piacciono molto le due chiacchiere o i saluti con cui iniziamo la giornata: é bello sapere che ci siamo, un buongiorno o un emoticon e la giornata si riempie di presenze confortanti.
La realtà virtuale non é meno reale della vita vera, amplifica solo il segnale, ma gli individui sono e rimangono sempre quello che sono: ci sono persone educate, sensibili, spiritose, aggressive, arroganti, presuntuose, pavide, spaventate, insicure. Il più il web ha un'enorme vantaggio: con un'emoticon, un saluto, una vignetta ti fa sapere che ci sono, sono qui e se hai bisogno di me eccomi, ma mi permette di incastrarti in una giornata frenetica, in cui non avrei proprio il tempo di chiamarti e fare due parole di persona. Però ci sono, non mi sono dimenticata di te, non sono sparita dalla tua vita: se tu hai bisogno o se io ho bisogno di te siamo entrambi legati da questo momento speciale che ci ricorda la nostra presenza reciproca.
Intanto, però, sono in ritardo ed é meglio che mi sbrighi.
Anche l'idea di attivare un servizio di whats.App della farmacia si é rivelato vincente. Peccato che si sia sovrapposto al normale telefono, per cui adesso abbiamo due telefoni che squillano continuamente e la poveretta che avevo destinato alla gestione di questo servizio si trova a giostrarsi continuamente fra l'uno e l'altro con crisi relative nonché momenti di grande confusione e puro sconforto.
E delle comunicazioni fra noi ne vogliamo parlare? Tutte le mattine che Dio manda in terra partiamo armate delle migliori intenzioni: tutti devono sapere tutto,messaggi, post it, poco ci manca che attiviamo un araldo per avvertire di quanti sospiri emettiamo al minuto. Poi, non si sa come, la giornata ci travolge, impegni pressioni scadenze ci trascinano in un vortice nel quale ci dimentichiamo anche di respirare. Non é colpa di nessuno, o forse è solo colpa mia che non riesco ad imporre un ritmo accettabile al lavoro di tutte, non sono capace di rallentare l'effetto domino con il quale la pressione su di una finisce per diventare un buco nero per tutte.
Ogni giorno ricomincia la sfida e ogni giorno qualche incidente frena la nostra corsa verso un vero progresso. Stai provando a confortare una signora il cui marito si è improvvisamente aggravato e senti la collega che deve calmare un cliente che protesta perché il corriere che deve consegnare il suo integratore  é in ritardo per la nebbia; stai aspettando che un medico ti invii la ricetta di un antibiotico e devi far fronte alle rivendicazioni di un avvocato che sostiene che siccome ha sempre la ricetta, questa volta potrebbe anche esserne esentato, che lui ha fretta e non può aspettare, e fa la voce grossa con la più giovane di noi cercando di intimorirla; dai fondo a tutta la tua eloquenza per convincere una ragazzina a parlare con il medico del suo problema e ti senti obiettare che l'ultima volta che c'è stata si è sentita rispondere di cambiare farmacia perché per un banale collirio cortisonico non era il caso di scomodare  proprio lui.
Che dire? È il nostro lavoro, é la vita.
Mentre sto per cedere allo sconforto mi consegnano una stella di Natale gigantesca. L'accompagna un semplice biglietto di ringraziamento senza firma.
Sul cellulare ho cinque messaggi che mi aspettano. Quattro sono buffi pupazzetti di colleghi nelle stesse condizioni che mi invitano a tenere duro. Nel quinto, un paziente mi comunica che finalmente la terapia che gli abbiamo allestito comincia a funzionare: sono andato a ritirare le analisi, emoglobina glicata nella norma, dottoressa, é la prima volta, anche il medico mi ha chiesto che cosa é successo. Gli ho detto che i miei farmaci me li sistemate voi e adesso non mi dimentico più e li prendo bene. Sono già pronti quelli per il mese prossimo? Passerei fra dieci minuti a ritirarli.......
Tutte pronte per una nuova magia?

domenica 11 dicembre 2016

Mercoledì pomeriggio

È inutile che ci raccontiamo delle storie, siamo euforiche e completamente nel pallone. Vaghiamo per la farmacia con un sorriso beato stampato in faccia e continuiamo a congratularci reciprocamente per l'inaspettato successo.
Probabilmente chi ci vede pensa che, come minimo, siamo un po' esaltate e un po' sceme, e forse un tantino fuori di testa lo siamo davvero: quello di cui moltissimi non si rendono conto  non é tanto del lavoro e dell'impegno che certe scelte implicano, quanto di quanto sia difficile e complesso guadagnarsi credibilità e la fiducia dei pazienti.
"E che ci vuole? Si trovano tutto pronto, la terapia completamente organizzata e per di più senza sborsare un centesimo. Saranno tutti entusiasti"
E invece no, non é così semplice: intanto pochissimi accettano facilmente di farsi aiutare, anche quando devono seguire terapie che sono molto complesse da preparare anche per noi del mestiere.Sembra loro di riconoscere che non sono più capaci di gestirsi da soli.
D'altra parte, negli ultimi cinquant'anni, il cliente si é abituato ad uscire dalla farmacia con borse piene di scatolette e ad arrangiarsi. A mala pena, la prima volta, viene scarabocchiato sulle confezioni  un abbozzo di posologia, spesso in una lingua misteriosa, 1 cps 3 vol al dí, e ammettere "non ho capito" sembra brutto, tanto poi a casa ci guardo, leggo il bugiardino e decido cosa fare. E poi " il medico mi ha detto, ma lo specialista invece ha indicato, l'infermiera si é raccomandata e io mi ricordo tutto, almeno mi sembra, tanto poi guardo  su internet...."
"Al farmacista importa solo vendermi i farmaci, riempie il sacchetto veloce, c'é sempre una coda infinita, e poi se gli dico che ho guardato su Google e sono molto perplessa per quello che mi é stato prescritto, si offende e mi risponde sgarbato che sulla ricetta non c'è scritto niente, che chieda al mio medico se non mi fido. Mi sono anche accorta che se dico delle sciocchezze, perché io di queste cose non me ne intendo molto, fa un sorrisino sprezzante e sono sicura che quando esco poi mi prende in giro. Cosa vuoi che ne sappiano questi? Cosa vuoi che gliene importi di me? Preferiscono offrirmi un trattamento nella cabina estetica o un aggeggio super tecnologico che mi intimorisce solo a parlarne".
"Queste qui, invece, quante storie fanno! Mi chiedono la ricetta per tutto, vogliono controllare ogni cosa, i dosaggi e come e quando prendo le mie medicine, sembra che quello che vendono loro siano tutti veleni. So benissimo che cosa devo o non devo fare, non sono mica una drogata, io: anche il medico si fida di me, lo sa che me ne intendo abbastanza, spesso mi prescrive le medicine per telefono e mi dice di regolarmi da sola, tanto sono cose leggere, una più o una meno non cambia niente. Queste invece vogliono controllare tutto, sapere esattamente cosa prendo e quando, ma saprò ben io come sto e come mi devo curare. Non sono diventata così rincretinita da non sapermi arrangiare da sola. Anzi, qualche volta ho fatto meglio del dottore, me lo dice sempre la mia amica: siamo meglio dei dottori, perché ci informiamo, ci ascoltiamo e ci vogliamo bene. I dottori e i farmacisti, invece, pensano solo a farsi pagare, neppure ti ascoltano, se hai bisogno non ne parliamo. Li cerchi al telefono e ti vogliono vedere di persona, ci vai e ti tocca aspettare e poi in due minuti ti liquidano. Le volte che ho chiesto qualcosa mi hanno a mala pena risposto, mi hanno visto col braccio al collo e non mi hanno chiesto neppure come stavo. Figurati se hanno tempo per occuparsi di me e dei miei problemi."
"La sorella della mia amica, mi ha detto, però, che da quando queste qui si occupano della sua mamma, lei sta molto meglio. La badante all'inizio ha fatto un sacco di storie perché non voleva avere le medicine contate, ma poi, quando ha visto che finalmente le analisi si erano sistemate, si é convinta che forse avevano ragione loro. Pensa che in ospedale hanno fatto anche i complimenti alla farmacia per il lavoro che svolge. Mi hanno detto che hanno ricevuto anche il  benestare e i complimenti  dell'Asl. Che dici? Ci provo? Ho la pressione sempre un po' ballerina, il diabete così così, é la menopausa, non c'è dubbio, é l'età, me lo dicono tutti. Che faccio? Ci provo? Mi faccio aiutare?"

domenica 4 dicembre 2016

Mercoledì mattina

Siamo quasi a metà settimana. Non che voglia dire qualcosa, come se problemi guai e complicazioni guardassero il calendario, ma avere una meta, un fine, un limite al quale tendere aiuta ad affrontare meglio le giornate. Il fatto che poi tanto tutto ricominci é un dettaglio, anche abbastanza insignificante. Intanto un lavoro l'abbiamo concluso, una settimana terminata, un obiettivo raggiunto. Ai prossimi ci penseremo.
Metà settimana: appello dei pazienti cronici, chi ci ha già portato i farmaci e le terapie, chi non risponde al telefono, chi non ha voglia di passare dal medico, chi non si é reso conto che é ora di farsi rivedere perché sta finendo le medicine.
Sono in mezzo a due fronti: da una parte ci siamo noi che ci arrabattiamo ad organizzare un lavoro che diventa ogni giorno più impegnativo e più complesso. In certi momenti sembriamo invasate: chi al banco, chi al telefono, cerchiamo di ricordare che il tempo stringe, che la preparazione é lunga e prevede varie fasi, che se ci riduciamo all'ultimo momento é difficile accontentare tutti, venire incontro alle varie esigenze, organizzare un servizio soddisfacente.
Dall'altra, i pazienti che non si rendono conto del fatto che ci occupiamo di un sacco di persone, che tutto deve seguire un protocollo rigidissimo, che ogni modifica, ogni cambio di terapia comporta fare e rifare lo stesso lavoro, rallentando e complicando ogni cosa.
Dopo lunghe e penose riflessioni, sono giunta alla conclusione che abbiamo un enorme problema di comunicazione: quando parliamo diamo sempre troppe cose per scontate, ciascuno di noi non si rende conto che l'interlocutore non conosce la maggior parte di quello che per noi é ovvio e scontato, gli equivoci e i malintesi si sprecano.
E la voce, il modo di parlare, il timbro: la nostra ansia diventa un modo troppo brusco di parlare, la difficoltà nel farsi capire aumenta i toni aspri e acuti, la timidezza si trasforma in rigidezza e brontolio a mezza voce. Chi ascolta spesso finisce per annuire senza aver realmente compreso, lo sguardo sfuggente e smarrito frammisto a dubbi mal formulati, a domande taciute per confusione e incertezza.
Un disastro: ciascuno si arrocca nelle sue convinzioni e il dialogo sprofonda in una palude di diffidenza reciproca.
Intanto il tempo, del tutto impermeabile alle umane debolezze, non guarda in faccia nessuno e continua a scorrere con implacabile metodicità.
Ad intervalli regolari, qualcuno viene a chiedermi lumi o istruzioni come se fossi depositaria di ogni conoscenza. Spesso le devo riprendere, non perché non siano bravissime e non ci mettano l'anima, ma perché non si rendono proprio conto di come talvolta non riescano a farsi capire, di non stancarsi mai di dare l'ennesimo chiarimento, l'ennesima spiegazione, di accompagnare sempre tutto con un sorriso per stemperare ed alleggerire la difficoltà di comunicazione.
Ed ecco il dramma: una cliente chiede di parlare proprio con me. Mi avvisano tese, la preoccupazione di avere commesso un errore, di avere detto o fatto la cosa sbagliata, il bisogno di giustificarsi a priori espresso col tono della recriminazione e della lamentela.
Lascio quello che stavo facendo, faccio un respiro profondo e mi preparo ad affrontare l'ennesimo problema della giornata, forse il più delicato.
"Sono venuta a ritirare i farmaci della mamma". Non sono ancora pronti, é solo mercoledì, abbiamo di nuovo confuso le date di consegna? Eppure, ultimamente, eravamo diventate bravissime, questo errore non lo avevamo più fatto...
Tra panico ed imbarazzo, cerco di inventarmi una soluzione estemporanea.
"Non si preoccupi, lo so che non sono ancora pronti. È che, per il momento, non mi servono più: la mia mamma é in ospedale. Anzi, sono venuta a ringraziarvi: é viva e sta bene grazie a voi. Tre giorni fa é caduta in casa e ha battuto la testa molto forte: la badante l'ha accompagnata in ospedale con la vostra cartella dei farmaci. I medici hanno potuto vedere tutta la terapia che segue e che cosa aveva preso e quando: così sono potuti intervenire immediatamente visto che si era procurata un grave trauma cranico. Hanno detto che il vostro lavoro ha fatto loro guadagnare tempo prezioso e che oggi è in buone condizioni anche grazie a voi. I medici del pronto soccorso vi fanno i loro complimenti. Vi ringrazio anche a nome della mia mamma."
Cerchiamo di nascondere l'emozione, ma non riusciamo neppure a parlare