domenica 4 dicembre 2016

Mercoledì mattina

Siamo quasi a metà settimana. Non che voglia dire qualcosa, come se problemi guai e complicazioni guardassero il calendario, ma avere una meta, un fine, un limite al quale tendere aiuta ad affrontare meglio le giornate. Il fatto che poi tanto tutto ricominci é un dettaglio, anche abbastanza insignificante. Intanto un lavoro l'abbiamo concluso, una settimana terminata, un obiettivo raggiunto. Ai prossimi ci penseremo.
Metà settimana: appello dei pazienti cronici, chi ci ha già portato i farmaci e le terapie, chi non risponde al telefono, chi non ha voglia di passare dal medico, chi non si é reso conto che é ora di farsi rivedere perché sta finendo le medicine.
Sono in mezzo a due fronti: da una parte ci siamo noi che ci arrabattiamo ad organizzare un lavoro che diventa ogni giorno più impegnativo e più complesso. In certi momenti sembriamo invasate: chi al banco, chi al telefono, cerchiamo di ricordare che il tempo stringe, che la preparazione é lunga e prevede varie fasi, che se ci riduciamo all'ultimo momento é difficile accontentare tutti, venire incontro alle varie esigenze, organizzare un servizio soddisfacente.
Dall'altra, i pazienti che non si rendono conto del fatto che ci occupiamo di un sacco di persone, che tutto deve seguire un protocollo rigidissimo, che ogni modifica, ogni cambio di terapia comporta fare e rifare lo stesso lavoro, rallentando e complicando ogni cosa.
Dopo lunghe e penose riflessioni, sono giunta alla conclusione che abbiamo un enorme problema di comunicazione: quando parliamo diamo sempre troppe cose per scontate, ciascuno di noi non si rende conto che l'interlocutore non conosce la maggior parte di quello che per noi é ovvio e scontato, gli equivoci e i malintesi si sprecano.
E la voce, il modo di parlare, il timbro: la nostra ansia diventa un modo troppo brusco di parlare, la difficoltà nel farsi capire aumenta i toni aspri e acuti, la timidezza si trasforma in rigidezza e brontolio a mezza voce. Chi ascolta spesso finisce per annuire senza aver realmente compreso, lo sguardo sfuggente e smarrito frammisto a dubbi mal formulati, a domande taciute per confusione e incertezza.
Un disastro: ciascuno si arrocca nelle sue convinzioni e il dialogo sprofonda in una palude di diffidenza reciproca.
Intanto il tempo, del tutto impermeabile alle umane debolezze, non guarda in faccia nessuno e continua a scorrere con implacabile metodicità.
Ad intervalli regolari, qualcuno viene a chiedermi lumi o istruzioni come se fossi depositaria di ogni conoscenza. Spesso le devo riprendere, non perché non siano bravissime e non ci mettano l'anima, ma perché non si rendono proprio conto di come talvolta non riescano a farsi capire, di non stancarsi mai di dare l'ennesimo chiarimento, l'ennesima spiegazione, di accompagnare sempre tutto con un sorriso per stemperare ed alleggerire la difficoltà di comunicazione.
Ed ecco il dramma: una cliente chiede di parlare proprio con me. Mi avvisano tese, la preoccupazione di avere commesso un errore, di avere detto o fatto la cosa sbagliata, il bisogno di giustificarsi a priori espresso col tono della recriminazione e della lamentela.
Lascio quello che stavo facendo, faccio un respiro profondo e mi preparo ad affrontare l'ennesimo problema della giornata, forse il più delicato.
"Sono venuta a ritirare i farmaci della mamma". Non sono ancora pronti, é solo mercoledì, abbiamo di nuovo confuso le date di consegna? Eppure, ultimamente, eravamo diventate bravissime, questo errore non lo avevamo più fatto...
Tra panico ed imbarazzo, cerco di inventarmi una soluzione estemporanea.
"Non si preoccupi, lo so che non sono ancora pronti. È che, per il momento, non mi servono più: la mia mamma é in ospedale. Anzi, sono venuta a ringraziarvi: é viva e sta bene grazie a voi. Tre giorni fa é caduta in casa e ha battuto la testa molto forte: la badante l'ha accompagnata in ospedale con la vostra cartella dei farmaci. I medici hanno potuto vedere tutta la terapia che segue e che cosa aveva preso e quando: così sono potuti intervenire immediatamente visto che si era procurata un grave trauma cranico. Hanno detto che il vostro lavoro ha fatto loro guadagnare tempo prezioso e che oggi è in buone condizioni anche grazie a voi. I medici del pronto soccorso vi fanno i loro complimenti. Vi ringrazio anche a nome della mia mamma."
Cerchiamo di nascondere l'emozione, ma non riusciamo neppure a parlare


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