domenica 29 gennaio 2017

Sabato mattina

Lo prometto solennemente: da quest'anno il sabato mattina non lavoro più. Basta. Sono vecchia, stanca, durante la settimana corro come una trottola, le ore che passo in farmacia non si contano, il sabato di riposo me lo merito.
Potrei destinarlo a fare tutto quel lavoro di ricerca e di organizzazione che lascio sempre indietro, però la burocrazia no, quella non il sabato, pietà. E allora quando? Facciamo così: un'ora la dedico alle scartoffie varie, il resto a quello che mi interessa di più: ho in mente tutta una serie di progetti che aspettano solo di essere realizzati......
Potrei anticipare la stesura del blog, così evito il panico della domenica, però devo ancora rispondere ad un sacco di persone che mi hanno posto i quesiti più disparati; ci sarebbero dei colleghi con i quali sto collaborando che aspettano almeno una mia parola, ma devo ancora testare alcuni prodotti prima di consigliarli.
Bene, ho deciso: stilo un elenco di priorità, mi faccio una ricca tazza di té, prendo la rincorsa e via, alla conquista del mondo. Tanto oggi non lavoro, sono a casa, ho tutto il tempo che voglio, Dio solo lo sa che cosa posso fare prima di sera.
Ho da poco scoperto le tazze termiche e ho capito subito che per me  sarebbero diventate assolutamente vitali: non ho neppure finito di far sciogliere lo zucchero che mi arriva un messaggio. L'altra novità che abbiamo appena adottato é stato creare una chat della farmacia con la quale comunicare fra noi in tempo reale e dovunque siamo: come al solito, a fronte del vantaggio di poter essere sempre in contatto, per contro é diventato impossibile sottrarsi al sistema. Capisco dalla grafia sommaria che in farmacia c'é un problema urgente. Potrebbe essere un'eccellente occasione per verificare l'efficienza della tazza termica: per quanto tempo, esattamente, il tè rimarrà ad una temperatura accettabile? Diamo inizio ad una sperimentazione pratica: appena avrò un numero soddisfacente di dati attendibili pubblicherò i risultati. Se va avanti così penso che avverrà quanto prima.
Al telefono, l'ennesimo quesito spinoso: ho saputo che preparate la cannabis, me la fate? Quanto costa? Quanto tempo ci vuole?
"Prima di tutto deve recarsi da un medico, il quale dovrà fare una diagnosi, in base alla quale stabilire se il suo problema possa trarre giovamento da questo farmaco. Se lo riterrà adatto a lei, dovrà inoltre indicare un dosaggio preciso e una strategia terapeutica."
"Ma io ho letto che cura moltissime malattie e la mia é una di quelle. Ne sono sicuro: sono in contatto con altri che hanno il mio stesso problema, ne prendono cinque/quindici/quaranta gocce e stanno benissimo."
"Né io né lei siamo in grado di capire di che cosa lei abbia realmente bisogno: solo un medico é in grado di deciderlo. Inoltre deve indicare una posologia specifica, in milligrammi, in modo che possa valutare in modo rigoroso e riproducibile la sua risposta al farmaco."
"Il mio amico mi ha detto che non ci sono rischi e che la dose se la fa da sé, senza tutte queste storie."
"È vero, di overdose di cannabis non é mai morto nessuno, ma non per questo deve pensare che non abbia effetti collaterali o effetti paradossi. E poi non é così che si gestisce un farmaco: così si assume  una sostanza in modo voluttuario. È il medico, la sua competenza e la sua abilità, che conferisce ad un principio attivo una vera attività terapeutica: é il medico che fa il farmaco e compito del farmacista é fare tutto il possibile affinché il paziente rispetti la terapia prescritta dal medico.  Altro un farmacista non può e non deve fare. Mi dispiace, ma non la posso aiutare di più."
"Se vado dal mio medico me la fa la ricetta?"
"Tecnicamente tutti i medici la possono fare, ma devono essere loro a decidere che cosa é meglio per lei."
"Vuole che sappiano più di me che cosa mi fa bene? Ho capito, non mi vuole aiutare. Ma guardi che sono disposto a pagare, sa."
"Non é una questione di soldi, ma di appropriatezza terapeutica. La ricetta non é un atto formale, un pezzo di carta scritto per far contento il farmacista, ma l'ultima fase di un procedimento medico."
"Va bene, ho capito. Adesso sento un'altra farmacia, una di quelle che non fa tante storie. Il mio amico mi ha detto che ce ne sono di quelle che fanno tutto più facile, senza tutte queste complicazioni. E poi che cos'é questa appropriatezza terapeutica: se le dico che mi serve, mi serve e basta. Cosa stiamo tanto a discutere..."
E già, cosa ci sarà tanto da discutere?
Intanto posso dire subito che dopo quarantadue minuti il té é appena tiepido. Il più é scoprire dopo quanti minuti esatti diventa imbevibile. Giusto per potermi meglio regolare in futuro...



domenica 22 gennaio 2017

Venerdì pomeriggio

È arrivato il momento di cominciare ad organizzare la settimana successiva. Ormai ci manca solo di consegnare il lavoro compiuto  e di  rispondere alle emergenze dell'ultimo minuto: sulla carta il più é fatto, nella realtà può ancora succedere di tutto.
Intanto cerco di assolvere almeno a una parte di quelle infinite incombenze burocratiche che mi riservo per allietare il fine settimana. Ho anche in sospeso tutta una serie di progetti professionali a cui avrei deciso di riservare le serate, se non fosse che alla sera sono quasi sempre troppo stanca per essere in grado di affrontarli con un minimo di efficacia: sono in piedi mediamente dalle sei del mattino  e inizio a lavorare verso le sei e trenta. Anche nel caso denegato in cui  volessi stare a letto un po' di più,  ci pensa la gatta Pallo a richiamarmi con determinazione all'ordine: comincia a colpirmi una spalla con delle dolci testatine per incoraggiarmi a lasciare il letto, ma se non recepisco in fretta il messaggio passa rapidamente alle grattatine con le unghie accuminate. D'accordo: mi alzo, la colazione per i gatti nelle ciotole in cinque minuti, magico primo caffè della giornata al buio di silenzio, tablet carico, svegli attivi pronti via.
Una volta affrontata la giornata non c'è più tempo  per preoccuparsi, tantomeno per distrarsi in questioni inutili: ho sempre pensato che il lavoro sia una delle migliori medicine al mondo, difficilmente lascia spazio ad elucubrazioni sterili o a tormenti esistenziali. Hai obblighi, doveri, scadenze molto precise, tutto il resto passa in secondo piano e, molto spesso, lasciati sedimentare,  i problemi perdono gran parte della loro complessità per apparire per quello che sono in realtà, banali difficoltà facilmente superabili con un po' di fantasia e molto senso pratico.
Sto cercando di raccogliere le idee per decidere che cosa fare quando mi accorgo che sono già le diciotto e trenta e me ne potrei andare a casa: sono stanca, deconcentrata, sto girando a vuoto senza concludere più nulla, c'è buio e fa freddo e ormai i clienti sono pochissimi. Per una sera potrei andare a casa un po' prima, già sogno una bella doccia calda, la tuta e le pantofole. Comincio con cautela  a sbottonarmi il camice.
È un attimo: improvvisamente i due telefoni cominciano a squillare come fossero indemoniati, in due si alternano a rispondere, ma poi, inevitabilmente, mi devono passare la chiamata.
Me n'ero completamente dimenticata: per riuscire a combinare qualcosa durante la giornata avevo stabilito la regola secondo la quale avrei risposto alle domande o alle richieste dei clienti solo dopo le diciotto e trenta, confidando di avere ancora un po' di energia per far fronte a tutte le richieste.
Nella maggior parte dei casi non c'è nulla che possa fare davvero per aiutarli, tranne ascoltarli, confortarli e distribuire pochi, banali consigli di puro buon senso.
Si rivolgono a me con una fiducia toccante che in tutta onestà non so proprio come ripagare, mi arrabatto a trovare le parole più giuste per dire cose che non vogliono sentire, bisogna avere pazienza, seguire scrupolosamente la terapia prescritta dal medico, é necessario parlare con lui degli inevitabili problemi e seguire le sue indicazioni, non fare di testa propria. Ripeto le stesse cose decine di volte, cerco di usare termini semplici, di fare esempi facili e concreti, ma mi rendo  conto da sola di non  essere affatto convincente.
"Facciamo così: alla mattina le manderò una vignetta per augurarle buona giornata. Se avrà bisogno, mi potrà rispondere e  ci potremo parlare con calma."
"Tutte le mattine?" Tutte le mattine.
"Anche la domenica e nelle feste?" Si, anche alla domenica e nei giorni festivi.
La gatta Pallo non fa tutte queste differenze, per lei la giornata inizia sempre alle sei in punto.
Al massimo mi concede cinque minuti, poi basta, alziamoci, dai che abbiamo tanto da fare


domenica 15 gennaio 2017

Venerdì mattina

Il venerdì é sempre il venerdì.
La settimana si avvia alla conclusione, la maggior parte dei lavori sono finiti, abbiamo portato a termine quasi tutti gli impegni.
E poi é il giorno delle brioche, della colazione consumata insieme, del nostro piccolo privatissimo rito con cui suggelliamo il patto reciproco di collaborazione e assistenza. Per noi é un momento importante: é un gioco, una pausa, una festa, una trasgressione che ha il sapore della forza con cui siamo una squadra. 
Non sono brioche qualunque: la pasticceria é stata selezionata molto accuratamente, per mesi abbiamo testato tutte quelle esistenti nel raggio di almeno quindici  chilometri dalla farmacia, confrontato i vari tipi di sfoglia, la consistenza delle creme, la ricchezza dell'offerta in rapporto alla qualità, l'efficienza del servizio. Siamo anche molto esigenti: abbiamo discusso per settimane se é più gradevole una crema con aroma di mandorle o una con sentore di scorza di limone, quella al pistacchio sarebbe buonissima, ma é un po' liquida, non va bene. Non parliamo poi della delicatezza della pasta sfoglia rispetto alla fragrante consistenza della pasta frolla: qui si é acceso un dibattito al limite della questione di stato. Una é più friabile, ma l'altra é più croccante; una più saporita, ma l'altra esalta meglio il sapore del ripieno. Pochi argomenti coinvolgono tutti come quello del cibo e dell'arte culinalinaria: a chiacchiere siamo tutti chef o maestri pasticceri, tutti indistintamente sovranamente esperti di cucina e critici gastronomici. Ognuno ha un'opinione ben definita, un'idea precisa di come dev'essere il piatto perfetto, che cosa ci vuole o non ci vuole per l'eccellenza, gli apporti familiari o i diktat della tradizione: qui si scontrano le regioni, nord contro sud; le nazioni, Italia e Romania; interi continenti, Europa vs America. L'unica, vera, integrazione possibile avviene in cucina: se raggiungi un accordo sulla misura delle zucchine o sulla forma di una pasta ripiena il più é fatto. Tutti gli altri sono solo piccoli ostacoli facilmente superabili.
Ricordo le discussioni infinite fra mio padre e mia madre davanti ai fornelli: mio padre, dottissimo teorico, massimo esperto di cibo e di arte culinaria, sapeva di tutto e di più su qualunque alimento e su qualunque ricetta, impartiva istruzioni, spiegava, dettava le regole. Mia madre, cuoca eccelsa, la vera artista di casa, faceva quello che voleva, senza curarsi minimamente di null'altro che non fosse ciò che gli ispirava l'alimento in sé. "È inutile che mi dici che cosa vuoi che faccia: non sono io che posso decidere, in ogni pezzo di carne é già insito  il suo giusto destino. Hai presente Michelangelo con i blocchi di marmo: per un cuoco é la stessa cosa". Mio padre, che il temperamento artistico non sapeva neppure dove stesse di casa, si inalberava e, metà offeso e metà deluso, iniziava a contestare per principio tutto quello che faceva mia madre fino a zittirsi beato quando assaggiava il risultato di tanto lavoro.
Addento la mia brioche con sommo piacere, un po' di zucchero a velo sul naso e uno sbaffo di crema su una guancia: mi chiamano, mi giro e a sorpresa mi fanno una foto. Tutte soddisfatte mi fanno vedere l'immagine rubata nella quale, come al solito, faccio una pessima figura: sembro un'invasata, infantile, scomposta, sciroccata megera che non mangia da mesi. La scarsissima fotogenia e la modestia dell'apparecchio fotografico non aiutano. Pazienza.
Ridiamo tutte, divertite, ed é proprio bello riuscire a ritagliarsi dei momenti così, la giornata diventa più lieve e le difficoltà sembrano quasi sparire.
"Qui si fa sempre festa: ma a lavorare ci pensate mai? Già, é vero, é venerdì: va bene, oggi é concesso, erano buone le brioche?"
Buonissime, veramente speciali

domenica 8 gennaio 2017

Giovedì pomeriggio

Nell'intervallo  del pranzo, mentre mangio velocemente qualcosa, rispondo alle e-mail e compilo liste su liste di cose ancora da fare, lasciate indietro, accantonate per tempi più tranquilli (?!?), decido di dare una scorsa ai quotidiani, giusto per rimanere in contatto con quello che succede nel mondo.
Mi cade l'occhio su un articolo molto interessante che affronta lo spinosissimo tema del linguaggio dei politici e della loro tendenza sempre maggiore al turpiloquio e agli insulti reciproci. Si confrontano due giornalisti con due opinioni opposte: uno sostiene che é un malcostume che rispecchia la realtà, l'altro invece ritiene la cosa inaccettabile da parte di personaggi pubblici e sostiene che saremmo dovuti intervenire pesantemente per bloccare il fenomeno quando era ancora agli inizi.
Noi svolgiamo una professione tutto il giorno a contatto con il pubblico più svariato e viviamo costantemente il problema di una comunicazione difficile, complicata da un patrimonio linguistico che diventa ogni giorno più povero e dove abbiamo perso quasi del tutto la capacità non solo di argomentare razionalmente, ma anche semplicemente di ascoltare.
"Le parole le sceglie chi parla, il significato chi ascolta": é proprio vero?
Prima é entrata una signora molto bella, elegante e ha chiesto espressamente di me. Mi ha mostrato una chiazzetta rosata, irregolare, su una guancia. Voleva un rimedio per farla sparire, subito, all'istante, qualunque cosa, cortisone antibiotico antimicotico anzitutto che le cancellasse ciò che deturpava tanta armonia.
L'ho guardata e riguardata, ma non avevo la più pallida idea di che cosa potesse essere per cui ho cominciato a spiegarle che non potevo darle nulla dal momento che non sapevo di che cosa si trattasse. È iniziato uno dei dialoghi più surreali al quale avessi mai partecipato: mentre la signora mi elencava tutta una serie di farmaci e prodotti che aveva già provato, scelti del tutto a caso su consiglio di amiche parenti estetiste e tuttologi di turno, io mi sbracciavo ad esortarla a rivolgersi ad uno specialista, senza fare assolutamente più niente senza prima aver sentito il parere di un esperto. Più io insistevo che non facesse più nulla, più lei mi citava le opinioni più disparate.
Ad un certo punto, stremata, ho pensato di ricorrere ad un esempio che ritenevo potesse essere illuminante: se le si fosse rotta la lavatrice non le sembra che la scelta più opportuna sarebbe stata quella di rivolgersi direttamente ad un tecnico specializzato?
 Non l'avessi mai detto!
La signora perde ogni ritegno e mi aggredisce malamente facendomi presente che lei non é una lavatrice e che non era mai stata insultata in modo più pesante: che razza di farmacista sono se tratto le persone come macchine? Se non sono in grado di darle un semplice consiglio, lo dica subito: lei non ha tempo da perdere con degli incompetenti che offendono le persone che si rivolgono loro, che mi denuncerà all'Ordine professionale, all'avvocato, al giudice, al Padre Eterno in persona.......
Rimango talmente stupefatta dalla reazione che sul momento non riesco neppure a spiccicare parola: provo poi a replicare con calma che non era  assolutamente mia intenzione mancarle di rispetto, volevo farle solo un esempio per spiegarle l'importanza di consultare subito la persona più qualificata per trovare una soluzione al suo problema, nel suo caso un dermatologo. Bisogna lasciar fare ad ognuno il proprio lavoro, senza attribuirsi  competenze che non si hanno.
Ormai non ci sono argomenti che tengano: la situazione é talmente degenerata che non c'è modo di fermarla. Mi sta attribuendo affermazioni che non mi sono mai sognata di fare e si rivolge a tutti i presenti a supporto della sua posizione.
Quando un signore un po' timoroso prova a difendermi sostenendo che effettivamente non ho mai detto nulla di quanto lei sembra aver capito, se ne va sbattendo la porta, insieme a tutta una fantasia di  generiche minacce che continuano ad aleggiare confuse.
D'accordo, andiamo avanti. La giornata é ancora lunga

domenica 1 gennaio 2017

2017

Quest'anno avevo deciso che non avrei tirato fuori il solito argomento trito e ritrito del capodanno.
Lo avevo giurato convinta.
Poi Facebook mi ha mostrato il post dello scorso anno e mi hanno presa i rimpianti.
Ma come, é già passato un anno? Non é possibile, quelle cose le ho scritte ieri, non può essere passato così tanto tempo. Volete dirmi che ho bruciato un altro anno senza neanche rendermene conto? Che ho un anno di più, sono sempre più vecchia e stanca?
Mi sono andata a guardare allo specchio, preoccupata: per fortuna non sono mai stata una gran bellezza per cui non ho un passato glorioso da rimpiangere. Posso sopravvivere ad un viso che modifica giorno dopo giorno i suoi lineamenti, li riplasma e li riassetta secondo la legge implacabile della gravità. Non é un gran problema, mi ci posso adattare benissimo.
Quello che mi manda in crisi é l'idea di perdere l'energia, la forza e l'entusiasmo con i quali ho sempre affrontato la vita. Sono abituata a contare su buone risorse fisiche e mentali: e se adesso mi abbandonassero? Già mi vedo seduta in poltrona, apatica, lo sguardo perso fra un libro non letto  e un programma televisivo acceso solo come rumore di fondo, senza stimoli, curiosità, desideri...
Devo mettermi tranquilla: adesso esco e comincio a verificare come mi sono ridotta. Solita felpa di un rosa assassino, berretto dorato e aria più sciroccata del solito. In fondo é il primo gennaio, sono le otto del mattino, c'è un freddo tremendo e pochissime persone in giro: situazione ideale per una corsetta sul lungolago. Ce la farò ancora? Non é che con il vecchio calendario ho buttato anche parte delle forze e fra un po' arrancherò senza fiato, con le gambe pesanti e il cuore in tumulto? Vediamo.
Le rare signore che incrocio sono tutte eleganti, truccate, perfette. Primo  impegno del nuovo anno, regalo tutti gli indumenti inadeguati e adotto uno stile sobrio e ricercato adatto ad una matura signora (anche la maglietta con i buchi, bellissima, che nascondo sotto la felpa? Mi piange il cuore, ma devo fare uno sforzo, e poi farò felice mia figlia che ci muore sopra.....sicuramente é più adatta a lei che a me. Ma é di un cotone bellissimo, morbido, e poi chi la vede sotto tutto? Adesso ci rifletto con calma)
Prima tappa, metà percorso: non male mi  sembra, fiatone non più del solito, anche le gambe mi sembrano a posto. Ci starebbe una bella cioccolata calda. Meglio un thé senza zucchero. No, una tisana drenante, sarebbe perfetta.
Certo che quest'anno é iniziato proprio bene: scelte sane, salutistiche, mature. Tra il compiacimento per la saggezza raggiunta e la soddisfazione per il buon esito dei vari autocontrolli effettuati, vengo investita da un profumo inebriante di pane caldo e mortadella: eccola lì, avrà un diametro di almeno mezzo metro, piena di pistacchi, rosea e invitante, perfetta nel pane fragrante. In fondo, ieri sera non ho mangiato molto, e poi ho fatto attività fisica, però é piena di grassi saturi; avevo deciso basta porcherie, ma non é una porcheria, é carne, sono proteine, chi corre ha bisogno di proteine; ne prendo una fetta sola, magari mezza, un panino piccolo piccolo, poi a pranzo non mangio altro.
Mentre addento nella beatitudine più completa il mio gigantesco panino, mi si avvicina una signora.
È giovane, carina, tutta sorridente: "mi scusi se la disturbo, ma per caso non é lei che scrive un blog sui farmacisti? Sa, é proprio uguale uguale a come la immaginavo"
Oh mamma, e come mi immaginava? Sono arrossita pietosamente, la bocca piena mi impedisce di formulare una domanda di cui sono assolutamente sicura di non voler sentire la risposta. E pensare che mi illudevo di suggerire un'immagine di autorevolezza, affidabilità, sicurezza.
"Perdoni mia moglie, ma non ha resistito. Però é vero: anch'io l'ho riconosciuta subito, l'avevo pensata proprio così. Dai, vieni via, la stiamo mettendo in imbarazzo, ci scusi".
Voglio sprofondare, voglio sparire, voglio dissolvermi nell'aria e trasformarmi in coriandoli colorati.
Caro 2017, ti prego, conserva in buona salute le mie "spalle su cui piangere", da loro tanta forza, pazienza, disponibilità e due spalle che neanche i giocatori di rugby, perché temo che ne avranno veramente bisogno. Ho già visto che sarà un anno particolarmente impegnativo, ho già pronta una valanga di dubbi, paure, contraddizioni, incertezze, ansie inutili, per cui, caro 2017, abbi molta cura di loro.
Infine, caro 2017, conservami ancora la capacità di ridere e di far ridere: senza di quella, a questo punto, chi mi potrà mai sopportare?