domenica 2 ottobre 2016

Tra un "posso" e un "vorrei"

È tutto il giorno che provo a scrivere d'altro.
Avrei un sacco di cose da raccontare, ma non mi vengono le parole giuste. Continuo  a sfogliare il dizionario in cerca di termini che sembrano sfuggirmi, ma che, in realtà, non ci sono proprio nella mia testa.
In quel caos infinito di pensieri che mi contraddistingue ce n'è uno che continua a tormentarmi da moltissimo tempo: debbo dargli una forma qualsiasi, o finirà per non darmi pace.
I nuovi laboratori sono finiti e ieri abbiamo fatto una piccola festa di inaugurazione. Nulla di particolare: quattro dolcetti, un po' di spumante e le persone più care a condividere il  nostro momento felice.
Un anno e nove mesi di lavori, rumore polvere sporco, disagi di tutti i generi, non abbiamo mai chiuso neppure per un giorno. Progetti, discussioni, preventivi, discussioni, intoppi, analisi, rianalisi, verifiche, discussioni, controlli: quasi due anni della mia vita inseguendo un'idea che non sapevo bene neppure come dovesse essere. Sapevo quello che non volevo, e mi sembrava già un buon punto di partenza. Ho imparato abbastanza in fretta che era decisamente poco.
Però avevo un vantaggio: mio figlio ed io in laboratorio ci viviamo e con i rischi e i problemi ci facciamo i conti ogni giorno. Con infinita presunzione ho scartato tutte le proposte delle varie ditte specializzate perché non soddisfacevano del tutto  le mie esigenze e con un gruppo di temerari ci siamo lanciati nell'impresa. Nessuno di noi aveva mai realizzato qualcosa di simile e nessuno sapeva esattamente cosa fare.
Ho toccato con mano l'enorme difficoltà di conciliare il "vorrei" con il "posso", e  ho scoperto con infinito stupore che dal "non posso" e dal "non me lo posso permettere" sono nate le soluzioni migliori e le idee più innovative. Poche cose stimolano la fantasia come ostacoli ed errori.
In questi mesi ho visto la casa in cui sono cresciuta, la casa dei miei genitori, a poco a poco sparire fra calcinacci e nuove pareti: già faccio fatica a ricordarmi l'orribile cucina dove mia madre regnava incontrastata o lo studio dove ho dormito per anni. Il soggiorno a cui era legato tenacemente mio padre, buio e  oberato di mobili scuri, oggi é un ambiente accogliente e pieno di luce; le pareti bianche e di vetro rendono la stanza più grande e gradevole.
Ho invitato alla festa gli amici più cari dei miei genitori: volevo vedessero quello che avevamo creato. Avevo bisogno che mi aiutassero a salutare il passato per accogliere meglio il futuro.
Mio padre non avrebbe mai approvato le mie scelte, né le avrebbe comprese.Le sue argomentazioni sono sempre state razionali, equilibrate, essenzialmente corrette. Mi ha sempre invitato alla prudenza, alla moderazione, al realismo. Fai il meglio che puoi, dove sei, con quello che hai.
Non ne sono stata capace. Ho avuto bisogno di uscire dal mio piccolo mondo per provare a crearne uno più nuovo.
Funzionerà? Non ne ho idea. Ci credo e ci spero. Ma non ne sono sicura. Tutt'altro.
Ho anche molta paura, ma questa é la vita. Fai il meglio che puoi e poi prega.
Me lo immagino, mio padre, lassù, ovunque egli sia, che tormenta mia madre. Tua figlia é una pazza, falla stare tranquilla, chissà cos'altro si inventa. Neppure l'adorato nipote si salva. Tutto figlio di sua madre: prima vuole  fare il chimico a tutti i costi e adesso eccolo lì, pronto a cambiare il mondo come se i chimici contassero veramente qualcosa. O i farmacisti.
Ma voglio pensare che lo dica scoppiando di orgoglio.


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