sabato 11 giugno 2016

Il lavoro nobilita l'uomo

Siamo stanche.
È iniziato per noi il periodo più faticoso dell'anno.
Dobbiamo conciliare una vita familiare che d'estate implode, con i figli a casa o sotto esame, e  il lavoro che esplode, i pazienti cronici che diventano ingovernabili, le nostre ferie (da adesso a metà settembre non saremo mai al completo), le ferie dei medici, le idee e i problemi più bizzarri dei clienti.
È stupido, me ne rendo conto, ma in certi momenti rimpiango le estati del passato, quando la stagionalità delle patologie governava il nostro lavoro e l'estate offriva qualche momento di tregua.
Da quando abbiamo deciso di occuparci di altro i nostri ritmi sono stati stravolti, e il resto del mondo non si è ancora adeguato alle nostre scelte. E questo è un problema.
Però qualche significativo progresso lo abbiamo fatto: per esempio, per la prima volta abbiamo pianificato le nostre ferie in modo egregio. Ci siamo sedute tutte attorno ad un tavolo, armate di penna e calendario, e abbiamo stabilito chi c'era, chi non ci sarebbe stato, chi avrebbe fatto che cosa, chi avrebbe sostituito chi.
Vado molto fiera di questo risultato: non chiudendo mai, siamo riuscite ad avere nel periodo estivo tre settimane di ferie ciascuna, facendo contemporaneamente in modo che non si creasse nessun disservizio. È stata anche una bellissima esperienza: tutte noi abbiamo potuto toccare con mano che per ottenere qualcosa bisogna sempre anche dare qualcos'altro in cambio e che i traguardi migliori si ottengono solo se c'è collaborazione reciproca. Mi ha riempito di orgoglio vedere come tutti fossero determinati a garantire la continuità e la qualità del lavoro.
Ero ancora in preda all'ebrezza del successo ottenuto, quando ho scoperto una cosa che mi ha fatto inorridire: ho  due collaboratrici che percepiscono un reddito al limite del bonus di ottanta euro. Se durante l'estate avessero fatto degli straordinari per sostituire i colleghi in ferie, avrebbero perso il bonus, calcolato sul reddito totale e non sullo stipendio base.
Quindi, riassumiamo: un dipendente è disposto a fare i salti mortali (e certe volte lo sono davvero) per garantire l'eccellenza del servizio  all'azienda per la quale lavora e ci rimette pure gli ottanta euro.
Personalmente ho un'altra idea di giustizia e meritocrazia.
Alle mie collaboratrici ripianerò io tutto quello che non dovessero ricevere. Ci mancherebbe: se permettessi  una tale sperequazione tutto quello che ho faticosamente costruito in questi anni crollerebbe miseramente senza alcuna possibilità di rinascita.
Ma il problema resta e, secondo me, è gravissimo. Perché è sostanziale, non accidentale.
Il lavoro si fonda sulle persone: se noi vogliamo un vero progresso non dobbiamo offrire a tutti un lavoro, ma dobbiamo fare in modo che le persone desiderino lavorare. Dobbiamo creare le condizioni  per le quali ciascuno di noi abbia voglia di dare il meglio di sé e di impegnarsi al massimo. Se il sistema penalizza per principio proprio coloro che danno di più, come possiamo sperare che i migliori  vogliano lavorare con noi?
Per me, tutto questo è inaccettabile. Perché, se fossi un dipendente, non riuscirei ad accettarlo.
Perché il mancato rinnovo del CCN o il contributo Enpaf penalizzano tutti allo stesso modo, mentre il mancato bonus danneggia solo  i migliori. Perché fa passare il principio  che non vale la pena di fare di più, che meno è meglio, che tanto se ti dai da fare ci rimetti e basta.
Ci affanniamo tanto a cercare le ricette per cambiare la farmacia, per rinnovarla, per traghettarla nella nuova era: io proverei a cominciare  da qui, da noi, non dai prodotti o dai servizi. Dai farmacisti

Nessun commento:

Posta un commento