lunedì 15 agosto 2016

Mille di questi turni

Il turno mi mette sempre in crisi.
È vero che non è più come una volta quando durava sette giorni e sette notti, ma mi mette in difficoltà lo stesso.
Intanto, sono solo due notti, ma molto più impegnative. Ci sono molte più chiamate, soprattutto dopo la mezzanotte. Vuoi per l'età, vuoi per la paura di non sentire il campanello, faccio una gran fatica a riaddormentarmi, così finisco per dormire pochissimo.
Il giorno, poi, sarebbe bellissimo se si potesse non andare a lavorare: tutti i mesi mi riprometto di non presentarmi neppure in farmacia e tutti i mesi, sistematicamente, ho talmente tanti impegni che finisco per essere occupata tutta la giornata.
Sono le ventidue, fra un cliente e l'altro, seduta al tavolo della cucina, cerco di portare avanti almeno qualcuno dei mille lavori, noiosissimi, che non trovo mai il tempo di fare. Se non approfitto di queste serate infinite in cui devo stare in piedi per forza, la maggior parte delle incombenze burocratiche rimarrebbe inevasa. Il fatto che in tutto ci sia del buono non mi consola per niente. Anzi, se possibile, mi innervosisce ancora di più.
Mi sto perdendo in un mare di carte, l'orecchio teso al campanello, incerta se preferire una chiamata urgente e abbandonare la nave in tempesta o qualche momento di tregua per tentare di ritrovare una rotta qualsiasi,  quando sento un gatto protestare in modo vibrato.
Il suo timbro  è inconfondibile: alzo la testa e me lo trovo davanti, sporco, concitato, esagitato, più brontolone del solito. Manca da casa da quasi un mese, ormai ci eravamo convinti che avesse fatto una brutta fine sotto una macchina. Invece aveva ragione la tesi complottista: è stato rapito e tenuto prigioniero  da un'altra famiglia perché non appare né denutrito né ferito.
E' proprio lui, Molotov detto il Nano, fulvo, bellissimo: ci è comparso dal nulla in giardino una sera d'estate, piccolissimo, nascosto in mezzo alla siepe, deciso a farsi adottare a tutti i costi miagolando senza pace perché capissimo subito di che pasta era fatto. 
Anche adesso non ci sono dubbi sul fatto che sia proprio lui: con dovizia di particolari, il tono perentorio di chi sa di aver ragione, ci spiega che finalmente è riuscito a tornare a casa, ma ha dovuto fare tutto da solo, perché, si sa, come umani siamo piuttosto imbranati e poco fattivi. Non potevamo cercarlo meglio? Si abbandona così, al suo destino, un povero gatto che tanto ha fatto per il benessere della famiglia? E tutte le volte che con la scusa di accettare graziosamente una carezza o un grattino ho offerto conforto a qualche umano depresso? E gli allegri buongiorno alle sei del mattino per una colazione di gruppo, ne vogliamo parlare? Mi avete sostituito con una sveglia? Vi sembra la stessa cosa? Umani, non c'è altro da dire...
Mio figlio ed io siamo emozionati: cerchiamo di capire se sta bene, se è ferito, se ha fame, come mai è così sporco... Mandiamo messaggi a tutti, al resto della famiglia e a Elena, la balia dei gatti, a tutti gli amici e alla maggior parte dei conoscenti, e pazienza se è quasi la mezza, in ogni messaggio una foto, perché sia a tutti ben chiaro che è proprio lui, il Nano è vivo e sta bene, il Nano è tornato.
Alle due, fra messaggi, clienti, carezze, scatolette di tonno, sono stremata: provo a sdraiarmi sul letto e subito Pallo, la gattona matriarca padrona del mio letto e tutrice della mia persona, mette bene in chiaro che neppure il figliol prodigo, neppure in questo felice frangente può derogare dalle regole e stendersi vicino a noi.  Se non ci fosse lei a riportare le cose in ordine, anche qui come umana valgo ben poco...
Ogni venti minuti Molotov mi ricorda con voce stentorea che finalmente è tornato, Pallo lo rimbrotta intimandogli di non avvicinarsi al suo regno, smettetela e fatemi alzare perché il campanello ha suonato. Alle quattro decido che forse il divano potrebbe offrire un compromesso accettabile. Pallo mi si accomoda in braccio, il Nano e il Nanetto ai miei piedi protestano all'unisono appena mi muovo: ragazzi, sono di turno, portate pazienza, ma devo rispondere.
 Questa notte sono felice, neppure le chiamate mi pesano, non mi importa se non sono né urgenti né così necessarie. Vorrei raccontare a chiunque che il mio gatto è di nuovo a casa con noi.
Forse non serve: sono le sei, è ora di colazione, umana, veloce, sbrigati in fretta. Qui c'è gente che ha fame e vorrebbe mangiare


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