domenica 7 agosto 2016

Stella cadente d'agosto

Il bimbo entra tenuto per mano dalla mamma.
È piccolino, non può avere più di quattro o cinque anni.
Mentre la mamma mi porge la ricetta e mi spiega che cosa le ha detto il medico e di che cosa ha bisogno, si nasconde dietro la gonna di lei.
Il figlio ha un grave problema agli occhi e uno specialista gli ha prescritto un farmaco molto particolare. Sono arrivati da me perché hanno bisogno di un collirio ad una diluizione che non esiste già pronta in commerci  e non ci sono molte farmacie che possono allestire un farmaco di questo genere.
Leggo attentamente la prescrizione e comincio a preoccuparmi: non ho mai fatto niente di simile  e non so se ne sono capace. Evidentemente dal mio viso traspare l'inquietudine che mi sta pervadendo: la mamma mi spiega che l'oculista l'ha indirizzata ad una farmacia di Milano, ma per lei sarebbe una soluzione estremamente scomoda, tanto più che ne avrebbe bisogno di un flacone al mese per un anno.
Mentre parliamo il bimbo si stringe a lei sempre di più, finché lo prende in braccio e lui affonda il visetto nella sua spalla: è spaventato, intimorito dal sospetto di dover subire chissà quali torture. Cerco di rassicurarlo offrendogli un lecca lecca, ma non solleva neppure la testa.
Confesso senza remore i miei dubbi e mi riservo due giorni per decidere cosa sono in grado di fare.
La prima mezza giornata la passo a cercare di dominare il panico: continuo a rivedere il bambino e la sua mamma e mi sento soffocare dall'ansia. Mi tornano in mente i miei figli da piccoli, il terrore con il quale affrontavo ogni loro piccolo disturbo e mi chiedo come avrei reagito se uno di loro avesse avuto un problema veramente serio. Mi ripeto che non è questo il modo di affrontare il lavoro, che devo essere obiettiva e razionale, ma non c'è niente da fare, ormai sono emotivamente coinvolta: li devo aiutare a tutti i costi, non ho idea come, ma devo trovare una soluzione.
Mi attacco al computer e nel giro di un'ora so tutto quello che c'è da sapere sul principio attivo: solubilità, stabilità, interazioni. La concentrazione richiesta è veramente molto bassa per cui mi avventuro in tutta una serie di calcoli per garantire il risultato desiderato.
Adesso siamo alla forma farmaceutica: devo preparare un collirio per un bambino e lo deve usare per molto tempo, non deve bruciare e deve procurargli il minor fastidio possibile. Confronto i vari prodotti in commercio e cerco di capire qual'è il più confortevole.
Mi rimane da conoscere un ultimo dato, il razionale della terapia. Voglio capire se e come funziona, che cosa mi devo aspettare, che margine di errore ho. Consulto tutte le banche dati che ho a disposizione e finalmente trovo il lavoro che mi interessa: da un punto di vista teorico è molto sensata, ma è ancora in fase sperimentale, tuttavia i risultati finora ottenuti sono molto incoraggianti e tutto lascia sperare che il mio bambino (ormai è diventato un po' anche mio) ne possa trarre dei vantaggi concreti. Però devo lavorare in modo ineccepibile perché la concentrazione del farmaco è estremamente  critica per il successo della terapia.
Quattro tentativi dopo, il collirio è pronto: non ho modo di provare il frutto del mio lavoro per cui mi raccomando alla mamma di avvertirmi in caso di qualunque problema o difficoltà.
Una volta al mese, quando consegno il nuovo prodotto, la interrogo con insistenza: ha notato dei miglioramenti? Quando lo usa il bimbo si lamenta? Ha notato nulla di strano, di particolare, di diverso? Gli occhi si arrossano, si irritano? Il bambino è infastidito dall'uso prolungato?
Il piccolo ci ascolta sempre aggrappato alla mamma: non ha avuto particolari problemi, non gli piace il collirio, ma non gli provoca particolare disagio, forse qualche risultato si comincia a vedere, aspettiamo di arrivare almeno a metà terapia.
Dopo quattro mesi gli chiedo se ha voglia di regalarmi un disegno. La mamma lo incoraggia:" lo fai un disegno a questa dottoressa che prepara la medicina per i tuoi occhi?" Cerca di scomparire fra le sue braccia: se potesse, ritornerebbe un tutt'uno con lei.
Mi si stringe il cuore.
Sono passati sei mesi: oggi è venuto con il papà.
Camminano vicini, sembrano allegri e sereni. "Cominciamo a vedere dei risultati"
"Adesso me lo fai un disegno?"
Si avvicina la papà, ma non si nasconde. Con un sorriso mi fa sì con la testa.



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