domenica 15 maggio 2016

Il tarlo del dubbio

Ho molti amici farmacisti. Forse molti è una parola grossa, però ne ho un bel numero.
La maggior parte non li conosco di persona o abbiamo avuto solo brevissimi contatti: la tecnologia ha fatto il resto. Sono tutte persone un po' speciali, oltre che simpatiche e molto gentili: ci siamo conosciuti perché a tutti noi manca qualcosa, forse non sappiamo esattamente cosa, ma ci è abbastanza chiaro che fare i farmacisti è altro rispetto a quanto ci è stato indicato finora.
È inutile, anche on line devi avere dei punti di contatto o ci si stufa presto: non si deve essere per forza d'accordo, non ci devono essere plausi scontati, è sufficiente riconoscere le stesse domande.
Ognuno di noi ci prova a rispondere: più di tutto cerca un conforto, la conferma di non essere poi così solo, che altri nel mondo sperimentano diverse avventure, che qualcuno di noi ce l'ha fatta, ha vinto la sfida.
Credo che non siamo d'accordo neppure sui termini del problema: è questo è un vero guaio, perché solo la corretta formulazione di un quesito rende possibile una soluzione concreta.
Facciamo anche fatica ad affrontarlo  in modo semplice e diretto: quasi nessuno ha il coraggio di riconoscere in sé il senso di profonda insoddisfazione che ormai serpeggia un po' dovunque. Preferiamo parlare di una fantomatica età dell'oro della professione: io c'ero, mia madre e mia nonna erano farmaciste, non me le ricordo particolarmente solerti e impegnate. È vero, soprattutto mia nonna i farmaci li preparava tutti a mano, ma mestiere e abitudini non fanno metodo e scienza. Mia madre odiava questo lavoro: figlia primogenita, fu forzata a fare una scelta che non le assomigliava per niente. Appena ha potuto è fuggita senza esserci veramente mai stata.
Oggi, nel guado, ci viene richiesto uno sforzo quasi inumano: inventarci una nuova funzione, crearci dal nulla un'identità originale. Gli elementi ci sono, i bisogni premono urgenti: manca il coraggio di ricominciare da capo. Con nuovi criteri, senza nessuna garanzia, niente reti di sicurezza.
Eppure è la più grande opportunità che ci viene offerta da cento anni a questa parte: nessuna occasione fu mai altrettanto propizia. Se stai per morire è meglio lasciare, farsi da parte, gettare la spugna, dedicarsi ad altre incombenze, ritirarsi a vita privata: mi ritiro dal mondo, troverò altro pane e Nutella, ricomincerò a respirare liberamente.
A me la Nutella non piace: mi sembra di volerla, magari la cerco, la attacco convinta, al primo assaggio la lascio. Non mi piace neppure aspettare che qualcuno mi offra un miracolo, una soluzione a tutte le ansie, la chiave di volta a tutti i problemi: preferisco inventarmi un presente diverso, per il futuro ci penserò. Ho sempre creduto che dentro ciascuno di noi ci siano già tutte le risposte, ogni decisione è già stata presa. Bisogna solo scoprire qual'è. Ci potrebbero essere delle sorprese: tieniti pronto ad affrontare delle inversioni di rotta. Stavo marciando convinta verso una meta sicura, razionale, ragionevole, logica : l'obiettivo improvvisamente è sparito. Ho voglia di altro, non ne ero cosciente, ma avevo già stabilito altrimenti.
Non avevo mai visto con occhi diversi, preferivo non farmi tante domande: tutto era semplice e chiaro, suonava sicuro, ne andavo anche fiera. Tutto deciso, lineare, concreto. Niente dubbi, alibi, scuse.
Qualcuno ci prova, lancia un'idea. Un altro protesta. Un terzo pone mille questioni, il quarto si oppone a tutto e per tutto: piano piano, un passo avanti e tre indietro, il gruppo si forma, si apre, si rompe, rinasce. I dubbi ci sono tutti, le perplessità crescono a mille, la curiosità si accende e si spegne: il tarlo ha ormai preso posto. Solo le convinzioni davvero granitiche possono resistere intatte.

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