sabato 7 maggio 2016

Sono viva ed esisto

C'è una domanda che sempre più spesso mi viene fatta. In vari toni e con diverse sfumature, ma il nocciolo è sempre più o meno lo stesso: perché ti sei messa a scrivere un blog? E sui farmacisti, poi, come se fossero un argomento vagamente interessante per qualcuno...
Effettivamente, devo riconoscere che potevo fare di meglio, potevo parlare, per esempio, di fiori e di orchidee, di questioni morali e di massimi sistemi, dell'arte sottile di coniugare arte scienza e poesia e vita interiore: tutte cose intriganti, che avrebbero attratto sicuramente un pubblico più vasto e ben disposto.
Il blog è nato con l'idea di sdoganare i farmacisti, far comprendere che anche loro, in fondo in fondo, hanno un'anima, non sono solo quelle macchine da soldi dell'immaginario collettivo. Una farmacia è un luogo di lavoro complesso, pericoloso, meno comodo e tranquillo di quello che sembra da fuori. La professione del farmacista oggi richiede competenza, dedizione, impegno e, perché no, anche coraggio. Coraggio per confrontarsi con opinioni non sempre così lusinghiere, coraggio per rischiare di essere e  fare cose diverse.
Poi mi ha preso la mano. Ho scoperto che scriverlo mi piace moltissimo. In genere la stesura definitiva la riservo alla domenica, ma ci penso e ci lavoro tutta la settimana.
Al mattino, molto presto, bevo il caffè, guardo la posta e scrivo una frase. Regolarmente la cancello, la riscrivo almeno altre cinque volte e decido che non è di questo che voglio parlare. Magari il risultato non vale granché, ma posso assicurare che mi impegna e mi prende come se dovesse uscirne un gran bel lavoro.
Non so mai come andrà a finire. Invidio con tutta l'anima coloro che organizzano i propri pensieri in dettagliate scalette e riescono anche a rispettarle.  Mi piace credere che preferisco ricevere delle sorprese: se conoscessi prima il finale, mi annoierei a morte nella stesura.
Ogni tanto rileggo i consigli per una buona scrittura di Umberto Eco e mi avvilisco: sono saggi, equilibrati, assolutamente condivisibili. Non ne seguo neanche uno: ci provo, ma le parole non ubbidiscono, suonano male, non rispettano il ritmo che trovano nella mia testa. Anche in questo caso si tratta di stabilire che cosa sia più importante, se le regole o la mia testa: scelgo la mia testa, perché non sono Dante e non ho l'imperativo morale di scrivere la Divina Commedia. Anzi, come mi disse all'inizio un collega, non sono Voltaire e Candido è già stato scritto: lui non poteva saperlo, ma interpretai questa critica come uno dei più bei complimenti mai ricevuti.
Non so se ho successo, se chi mi legge lo fa per piacere o solo spinto dalla curiosità per possibili pettegolezzi. Al contrario di come a molti piace credere, non si scrive per se stessi. Lo stesso giorno in cui l'uomo ha inventato il linguaggio, ha inventato la scrittura. Abbiamo bisogno di comunicare, di far sapere che siamo vivi, che esistiamo. E lo vogliamo fare nel modo più incisivo possibile, e questo dalla notte dei tempi. Almeno alle persone che amiamo, a quelle che stimiamo, a coloro a cui aspiriamo piacere.
 So che ho conquistato mia figlia, il mio pubblico più critico ed esigente. Ho capito che ce l'avevo fatta quando ha cominciato a chiedermi al sabato a che punto ero, a che ora avrei pubblicato: un po' teme che parli  di lei (ci tiene a precisare che si dissocia con forza da qualunque descrizione io le faccia), un po' si diverte, ma soprattutto mi sembra interessata  a quello che scrivo. È la mia cliente più difficile, per principio non si fida, indaga tutti i perché e tutti i percome, vuole sapere, e non si accontenta mai  di una risposta qualsiasi: mi descrive ai suoi amici, oscillando fra desiderio aneddotico e orgoglio represso, li coinvolge, temo di essere diventata una specie di tormentone di gruppo. Non potendo vantare una mamma particolarmente accudente, rilancia con una mamma diversa e mezza matta. Anche se questa fosse l'unica nota positiva, mi sembra un gran bel risultato.
Mio figlio invece tace, e anche questo è un altro bel risultato, perché come erede diretto nonché reincarnazione puntuale del nonno, osserva, analizza, valuta, apparentemente svagato, ma invece attentissimo, e si esprime unicamente se non è d'accordo: non sprechiamo fiato e parole se va tutto bene, l'energia ci serve solo per sottolineare il dissenso.
Cos'altro posso dire? Che cos'altro volete che dica? Che sono megalomane, presuntuosa, incosciente, temeraria ed illusa? Naturalmente sì, e probabilmente anche peggio. Può bastare, a mia parziale discolpa, o almeno ad attenuante generica, che in tutto quello che faccio non risparmio l'impegno, non lesino sforzi, non sottovaluto niente?
In realtà, almeno io mi diverto moltissimo, e anche questo è un gran bel risultato

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