domenica 1 maggio 2016

Ho cercato l'uomo, anzi il paziente

Sono tornata.
Mi sono riposata, nel senso che mi sono staccata dalla vita di tutti i giorni, e, soprattutto, mi sono rilassata. Poi, siccome tutti i peccati vanno rigorosamente scontati, come ho messo piede in farmacia mi hanno assalita con un ventaglio di problemi ed urgenze veramente fantasioso. E, siccome, oltre al resto, sono masochista ed ho un ego piuttosto fragile, ne sono stata anche lusingata, mi sono sentita indispensabile e realizzata nel profondo. Misteri insondabili dell'animo umano, nonché infinite perverse contraddizioni degli esseri umani.
Però non sono stata inattiva: a parte il camminare , inevitabile visto che stavo facendo un trekking itinerante, ho fatto un'altra cosa che mi piace sempre moltissimo. Ho osservato e ho ascoltato. Ho guardato i gesti e i comportamenti, li ho raffrontati alle parole; ho prestato attenzione ai silenzi, alle omissioni, ai dettagli non detti. Ho spiato gli atteggiamenti involontari, il linguaggio dei corpi, le espressioni dei volti, le mani e le voci.
Cercavo delle risposte ai dubbi che da sempre mi tormentano: parliamo continuamente di salute, prevenzione, malattie croniche, compliance e aderenza alle terapie. Abbiamo stabilito priorità, definito bisogni, indicato percorsi e rimedi: ma le persone cosa ne pensano veramente? Siamo bravissimi nella teoria, ma la realtà, quella minuta, di tutti i giorni, quella di tutti i diversi individui, quella com'è?
È un po' quello che accade con le previsioni del tempo: fuori dalla finestra ci guardiamo mai? Certe volte, quasi sempre in verità, sarebbe molto meglio. Meno false promesse, illusioni, idee preconcette. E puoi anche scoprire che una pioggerella leggera rende il cammino più fresco e piacevole o un sole radioso può rivelarsi fastidioso e spossante.
Un esempio per tutti: non finirò  mai di stupirmi della scarsa considerazione in cui vengono tenuti i farmacisti.  Bellissimi i sondaggi nei quali inevitabilmente risultiamo i più amati dagli italiani, peccato  che all'atto pratico non  ci venga riconosciuta una gran competenza e preparazione. Come quando mi descrivono terapie di vario genere e scoprono con immensa meraviglia che, non solo le conosco, ma sono anche in grado di definirle e spiegarle. Magari anche criticarle, generalmente con argomentazioni razionali. Allora scatta la difesa per eccellenza: non siamo tutti uguali, se ad uno fa bene un rimedio, per un altro è veleno, non si può mai  sapere così in generale. Vale la pena spiegare che esiste una scienza, chiamata farmacologia, che si sforza di chiarire proprio questo? Che i farmacisti si chiamano in tal modo perché hanno studiato le sostanze ad azione terapeutica, i loro effetti collaterali e le loro controindicazioni, cioè quando un farmaco cessa di curare e diviene un veleno? Che tutti questi dati non sono lasciati al caso, ma  si possono misurare, quantificare, elaborare, per fornirci uno strumento che può offrire talvolta una concreta possibilità di guarigione, molto spesso una speranza di miglioramento e salute? Che non bastano quattro informazioni raffazzonate, frammiste a luoghi comuni e idee peregrine, per affrontare e gestire una patologia grave e complessa, che non va mai in vacanza, non molla la presa anche se non si appalesa subito in sintomi dolorosi e invalidanti?
Ecco, questo è un altro argomento interessante: la percezione delle proprie patologie, l'idea che ciascuno elabora sul proprio stato di salute, la considerazione in cui tiene il proprio stile di vita. Vi è una sorta di pudore, forse di vergogna ad ammettere di essere malati; oppure un compiacimento sottile, quasi di sfida; raramente il male diventa strumento per ricevere attenzioni gratuite. Mai, ma proprio mai, uno stato di fatto, una situazione possibile da affrontare decisi, preparati, organizzati. Si preferisce affidarsi al consolatorio pensiero secondo cui su tutto domina la mente: in fondo, basta volerlo e tutto diventa banale accidente momentaneo, comune incidente di percorso, vago inconveniente da dimenticare al più presto. E per volerlo non serve impegnarsi, cambiare tutte quelle cattive abitudini che ci hanno fatto arrivare fin qui, assumere i farmaci giusti ed evitare gli inutili: ognuno ha una personale formula magica, una sua propria teoria miracolosa, e pazienza se il mondo e la scienza non sono d'accordo. Tanto, si sa, ciascuno è diverso: chi ha detto che a me debbono fare bene le stesse cose che curano te?




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