venerdì 1 gennaio 2016

Ci sono dei riti che non si riesce proprio ad evitare

A fine anno si deve fare un bilancio se non altro per sancire il passaggio e potersi illudere di ricominciare da capo. È un po come se dicessimo: l'anno è finito, chiuso. Adesso inizia una cosa nuova e la partita è ancora tutta da giocare. Contiamo i morti e i feriti, riuniamo le truppe e ributtiamoci nella mischia, che tutto può ancora succedere, tutto può ancora avverarsi. Come se avesse un qualunque significato il fatto che i sogni si realizzino a gennaio piuttosto che a giugno, a novembre e non a marzo. Come se dovessimo compilare un altro inventario da presentare ad un'entità superiore per un premio, per un biasimo.
Siamo i figli delle diete che devono cominciare il lunedì, smettiamo di fumare solo il primo giorno del mese, invochiamo nuovi inizi con riti carismatici per esorcizzare la paura di fallire, per supplire ad una convinzione che latita.
Tant'è: cominciamo con le cose brutte.
Abbiamo perso alcuni pazienti cronici: se mese dopo mese ti occupi di una persona, dei suoi malanni, l'accompagni ad ogni cambio di terapia, condividi ogni progresso e ogni aggravamento, questa diventa un membro della famiglia allargata della farmacia. Quando se ne va, sei pervaso da sentimenti confusi nei quali si mescolano un senso di fallimento, un'idea di abbandono, il pensiero di aver subìto  una grave ingiustizia. Cancellarlo dall'elenco settimanale dei pazienti in uscita è un gesto triste che sa di sconfitta.
Ci sono state tutta una serie di crisi, personali e collettive: alcune brevi e violente, altre più striscianti e  subdole e per questo più difficili da affrontare. Già lavorare in nove in ottanta metri quadri è un'avventura: in compenso, siamo diventate maestre di Tetris, ossia l'arte dell'incastro di persone e di cose. La parola d'ordine è "collaborazione", ma è una parola difficile e ha la sua origine nel concetto di comunicazione. Ci dobbiamo ancora lavorare, e parecchio, ma questa è tutta un'altra storia.
Le cose belle.
Il "progetto" sul quale poggia l'intera farmacia ha preso forma definitiva e comincia ad emergere con chiarezza. Ho fatto talmente tanti tentativi, abbiamo fatto talmente tante false partenze, ci sono stati talmente tanti aggiustamenti di rotta, che quasi non mi rendevo conto che invece il quadro era chiaro e la strada tracciata. Me lo ha fatto notare ieri un cliente: " dottoressa", mi ha detto,"qui si deve aspettare, c'è sempre la fila, ma se uno ha un problema e vuole una risposta qui deve venire. A gli altri il dolce, a voi le rogne: ma va bene così, vero?". Si, va bene così.
Ho imparato a delegare: un gradino alla volta, ma il delirio di onnipotenza comincia a lasciare il passo ad una nuova consapevolezza dei miei limiti. Cerco di curare maggiormente la qualità di quello che faccio e responsabilizzo di più chi lavora con me. Intanto, soprattutto negli ultimi mesi, mi sono imposta di rispettare l'orario di lavoro: niente più inizi alle 6.30, basta alle dodici ore filate. Quando sono stanca combino solo guai; e poi, ogni tanto, devo prendere una certa distanza dalle cose, mi devo allontanare, altrimenti perdo senno e razionalità.
In fondo, non è stato un anno molto diverso da tutti quelli passati e, speriamo, da quelli futuri.
Per i buoni propositi, il prossimo post. Non ho ancora ben deciso.

1 commento:

  1. congratulazioni per aver creato una farmacia per la gente che vuole essere aiutata.

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